Dalla stampa alle miss La censura fascista

All’Archivio di Stato inaugura oggi la mostra sul Ventennio e la libertà: 70 documenti con cui il Duce emanava proibizioni e divieti

Dalla stampa alle miss  La censura fascista

Dalla stampa alle miss La censura fascista

di Cristina Lorenzi

C’è il divieto a usare maschere per carnevale, la proibizione di pubblicare libri sul piacere, specie della donna, la censura al Decamerone del Boccaccio, persino a parlare male dei mestoli di alluminio che erano prodotto di importanti aziende dell’italianità. Sono una settantina i documenti in mostra all’Archivio di stato che raccontano la Censura fascista in Apuania dal 1922 al 1943. Oggi alle 15 il taglio del nastro, presenti le autorità.

"Tutto partì da quando sul tavolo del Duce arrivò il libro Sambadù, amore negro’ di Mila. Era il 1934 e immediati furono gli editti di censura contro quel libro che celebrava l’amore libero a cui seguì un lungo elenco di proibizioni". Questo spiega la direttrice dell’Archivio di Stato Francesca Nepori curatrice della mostra che da oggi rimarrà aperta nei locali di via Giovanni Sforza fino al 21 giugno. Da quella data cominciarono ad arrivare alle prefetture, firmate da Benito Mussolini, censure di tutti i generi, dalla stampa alle abitudini, ai costumi. Tutte registrate ed esposte all’Archivio di Stato. "Il senso della mostra è esclusivamente storico – ha spiegato Nepori – importante conoscere cosa successe giusto 100 anni fa. La mostra è nata su input del ministero della Cultura, ma il tema e la data sono stati decisi dal nostro Archivio. Un’iniziativa che fa da corollario a una serie di studi e pubblicazioni mie su questo argomento".

In via Sforza, lo ricordiamo, sono registrati e catalogati 14 chilometri di atti e documenti dal 1400 a trent’anni fa provenienti da enti provinciali come prefettura, provveditorato, tribunale, forze dell’ordine. Da qui la mostra in corso all’Archivio che dopo l’esposizione sul colera, sui malati psichiatrici, sulle leggi razziali, adesso affronta la censura fascista. "Il nostro è un interesse storico e sociale, l’Archivio deve servire a dimostrare come la società cambi, a insegnare dal passato per non ripetere certi errori".

Nelle sale del palazzo dell’Archivio sono i documenti a parlare: dalle pubblicazioni della tipografia di Eugenio Bassani, ’fascista discriminato’ all’inizio allineato poi dissidente, ai dispacci ai giornali che impedivano la pubblicazione di articoli di cronaca nera, fatti di sangue, ruberie, di allegorie, di foto di balilla armati, ai divieti di organizzare concorsi di bellezza in quanto "forme pericolose di incitazione della vanità femminile". Ancora la censura alla Nazione e al Telegrafo perché non pubblicassero il caso della donna incinta di Altagnana tornata dalla Francia per partorire. O il divieto di pubblicare romanzi a dispense. Sono passati cento anni, ma già allora si parlava di abolire gli alberi di Natale a favore del più italiano presepe "perché derivato da un’usanza nordica entrata nel nostro Paese per un male inteso spirito di imitazione, sostituendolo al presepio che rappresenta invece una tipica usanza italiana". Da lì il successivo ordine ai giornali, ’Il corriere apuano’ e ’Il popolo apuano’, di non fare accenno all’usanza dell’albero di Natale". Uno spaccato di storia, un affresco di come eravamo e un ammonimento di quanto la libertà sia importante e non scontata.