Al lavoro come schiavi: presi a frustate e accoltellati

Denunciato da tre pakistani il titolare di una ditta nautica: «Ci ha minacciato di morte»

Migranti (foto repertorio)

Migranti (foto repertorio)

Carrara, 27 ottobre 2018 - Picchiati, minacciati di morte, seviziati con un coltello, sfruttati, ridotti in schiavitù. E’ sul tavolo della Procura una dettagliata denuncia ai danni del titolare di un’azienda della nautica da parte di tre pakistani fuggiti dall’inferno. I tre ragazzi, tutti intorno ai 30 anni, erano scappati dal proprio Paese per trovare in Italia quel futuro che là sembrava negato. Così chiamati dal miraggio di alcuni connazionali che qui avevano trovato regolare lavoro, hanno attraversato il Mediterraneo per lavorare nell’impresa della nautica, gestita da un loro connazionale «che li avrebbe accolti e avrebbe spianato la strada per il futuro».

Tuttavia una volta arrivati nel Belpaese si sono presto dovuti rendere conto che la fame e il lavoro a condizioni da terzo mondo non era soltanto nel loro Paese d’origine. Così, come scrivono nella denuncia depositata in Procura dall’avvocato Michela Poletti, sono stati costretti a vere e proprie angherie e violenze degne del caporalato più spregiudicato.

«Abbiamo lavorato inizialmente senza contratto – scrivono nella denuncia –, poi, dopo essere stati regolarizzati, venivamo pagati con bonifici che dovevamo immediatamente restituire in parte in contanti al datore». Non solo: i giovani erano costretti a dividere un appartamento con altri numerosi connazionali al prezzo di 100 euro che andavano dirette alla famiglia del titolare. Allo stesso datore, o ai suoi fratelli, andava anche la retta mensile per il trasporto sul luogo di lavoro. «Lì – scrivono i tre pakistani – eravamo costretti a lavorare a turni di 13 ore al giorno, con mansioni di resinatori della vetroresina senza alcuno strumento di protezione, mascherine o aspiratori. Ci trattavano malissino, ingiuriandoci costantemente».

Maltrattamenti che sono poi aumentati in modo eclatante quanto i malcapitati hanno deciso di porre fine al proprio calvario interrompendo il rapporto di lavoro e lasciando anche l’abitazione. Si sono così rivolti alla Cgil per aprire una vertenza sindacale per recuperare le differenze retributive. Da lì sono partite le minacce di morte agli ex dipendenti e ai loro familiari, se non avessero ritirato immediatamente la denuncia e rinunciato alle richieste in denaro. Una tensione sfociata poi in vere e proprie aggressioni culminate in un accoltellamento avvenuto in piazza Garibaldi a Massa dove uno degli immigrati è stato sfregiato e seviziato con un coltello, oltre che minacciato di morte, lui e la famiglia, se non avesse ritirato le denuncia. «Non possiamo nemmeno essere ospitati da amici, perché i nostri connazionali hanno paura». Adesso, i tre stranieri, che hanno deciso di andare fino in fondo, sono stati costretti a cambiare abitazione. Quindi un nuovo inferno per i tre poveretti che adesso, opportunamente nascosti, attendono giustizia per poter tornare padroni delle proprie vite.