Alla Sanac restano sei mesi di vita. Verso la chiusura degli stabilimenti

I commissari hanno rimesso tutto nelle mani del Mimit: l’unica speranza è rientrare nella filiera italiana dell’acciaio. Ma lo scenario è segnato: prima lo stop di due stabilimenti e dal secondo semestre si fermeranno anche gli altri"

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Alla Sanac restano sei mesi di vita. Si può dare un po’ di morfina e qualche terapia drastica per prolungare l’agonia a un anno. Oltre non si va. A meno che non arrivino decisioni che possono e devono avere precisi mittenti e destinatari: la palla è nelle mani del Governo, del Ministero delle imprese e del made in Italy il cui compito può essere solo quello di traghettare il gruppo con quattro stabilimenti in Italia e oltre 300 lavoratori verso casa. Dentro la filiera italiana dell’acciaio, nella pancia di Acciaierie d’Italia di cui lo Stato è socio tramite Invitalia con la multinazionale Arcelor Mittal. Insieme all’ex Ilva di Taranto da cui è stata strappata, sbagliando, tanti anni fa.

Nel capoluogo apuano si respira rabbia e amarezza dopo l’incontro fiume di ieri in videoconferenza con due dei commissari di Sanac, a cui hanno partecipato i sindacati nazionali di categoria, i segretari territoriali, Umberto Faita Filctem Cgil, Stefano Tenerini Femca Cisl e Massimo Graziani Uiltec Toscana Nord, con le Rsu. Dopo il ritiro delle manifestazioni di interesse per l’acquisto da parte di Rhi Italia e Dalmia, i commissari hanno rimesso tutto nelle mani del Mimit.

Gli scenari. "Prima la chiusura di due siti, Vado Ligure e Grogastu. Dal secondo semestre la chiusura anche di Massa e Gattinara. Questo – spiega Faita – a loro dire consente di azzerare il debito ma non garantirebbe più neppure la quota di mercato extra Taranto. L’altra ipotesi è la vendita degli asset: una liquidazione. La tenuta finanziaria potrebbe essere garantita dal pagamento dei debiti da parte di Acciaierie ma ora ci sono perdite commerciali per 3,5 milioni di euro all’anno e una gestione commissariale non può proseguire così". "I commissari hanno ipotizzato al ministero un tentativo con lo spacchettamento degli stabilimenti – continua Tenerini –. L’ultimo pagamento da Adi risale a gennaio dell’anno scorso. In queste condizioni Sanac ha 6 mesi di vita. C’è l’ipotesi del blocco degli stabilimenti ma al massimo si va avanti un anno così. Il punto è che Acciaierie non fa ordini non solo per una presa di posizione ma perché la produzione è passata da 8 milioni a 3 milioni di tonnellate nel 2022". "I commissari non sono interessati a riproporre una gara se prima non ci sono decisioni chiare da parte del Governo – prosegue Graziani -. Adesso tocca al Governo determinare il futuro di Sanac. In passato è stata volontà dei commissari spacchettare il gruppo dall’ex Ilva ed è stata una scelta sbagliata". I sindacati, assieme ai lavoratori, si stanno organizzando a livello nazionale e territoriale per ottenere risposte e garanzie, in particolare dal Ministero. "Abbiamo concordato una richiesta di incontro urgente al Mimit – dice ancora Graziani - ma stavolta deve partecipare il ministro e non il solito funzionario di turno. E lì ci attendiamo risposte". "A stretto giro i lavoratori andranno in assemblea e le Rsu spiegheranno la situazione – evidenzia Faita -, nel frattempo le segreterie nazionali chiedono l’incontro urgente al Mimit. Senza risposte valuteremo che iniziative fare, non escludiamo nulla". "Chiederemo di rimettere in piedi anche il tavolo di crisi provinciale" conclude Tenerini.

A firmare un appello alla politica romana è anche la sindaca di Carrara, Serena Arrighi: ""I nostri rappresentati a Roma devono fare la loro parte. La vertenza Sanac porta con sé anche precise scelte politiche e strategiche che non possono più rimandare. La filiera dell’acciaio deve restare tutta in Italia e lo Stato, che in questi anni ha investito tanto in questo settore, deve avere un ruolo da protagonista e assumersi fino in fondo le proprie responsabilità".