Mazzinghi, Benvenuti ed io: vite da leggenda

Lo scrittore Vincenzo Pardini racconta i suoi incontri, anche di pugilato, con il campione toscano recentemente scomparso.

Campioni ed eroi non ci lasciano mai, restano e sopravvivono fino a divenire leggenda. Così sarà per Sandro Mazzinghi, che se ne è andato qualche giorno fa, ma solo in apparenza, perché le sue imprese sul ring, i suoi libri e la memoria che ha lasciato in chi ha avuto la fortuna di conoscerlo, non passeranno. Io sono fra coloro che l’hanno frequentato e anni fa anche intervistato nella sua casa di Cascine di Buti. Ma il mio incontro con lui risale alla fine deGli anni ’60, quando frequentavo la palestra di Lucca "Pugilistica Vincenzo Martinelli".

Tempi di gran lunga diversi agli attuali. Ogni giovane, si portava dentro un progetto che avrebbe voluto realizzare e, se non riusciva in quello preposto, poteva, quasi sempre, realizzarne un altro. Proprio come nell’albero dei sogni, i cui rami si spostano in direzioni diverse, ma tali restano. L’Italia di quell’epoca si interessava molto alla boxe. Mazzinghi e Benvenuti erano amati dalla folla che accorreva numerosa ad ammirarli nei palazzetti o negli stadi; altrimenti li seguiva in radio o in tv. Le radio, erano sovente a transistor che si potevano tenere in borsa o in tasca. Un modo rapido e leggero per collegarsi con il mondo e i suoi avvenimenti, tra cui la boxe.

Giovani e anziani seguivano Mazzinghi con passione e non perdevano uno dei suoi combattimenti, ai quali, emotivamente, partecipavano con tutti loro stessi. Mazzinghi incarnava bene lo spirito toscano: forte, aggressivo e generoso, rispecchiava bene il carattere di molti. Tutti noi avevamo mal digerito la sua prima sconfitta con Nino Benvenuti che Mazzinghi, a seguito di un grave incidente d’auto, aveva cercato di rimandare, per meglio smaltire i postumi di un trauma cranico. Ma Federazione e lo stesso Benvenuti, così pare, furono irremovibili. E Sandro dovette salire sul ring, consapevole dei rischi che avrebbe corso. Le riprese scorrevano veloci, con Mazzinghi all’attacco, ma poi ci fu un gancio sinistro alla mascella del triestino che gli fece piegare le ginocchia. Nella rivincita, il combattimento si protrasse per tutte le riprese: 15; fu dato vincitore Benvenuti, ma non tutti ne furono convinti. Mazzinghi, se non aveva vinto di stretta misura, aveva quantomeno pareggiato. Chiunque può constatarlo ancora oggi riguardando le sequenze. Fra i due si disse che ne era uscito peggio Benvenuti che orinerà sangue per qualche giorno. Verità o leggenda? Questo per dire quando Mazzinghi fosse sostenuto e anche coccolato nel cuore dei suoi sostenitori. Una sera d’estate, verso il tramonto, mentre ero in attesa che giungesse l’allenatore della "Martinelli", ecco arrivare una Giulia Super. Ne scesero Enrico Leonelli e Ugo Novelli, componenti, con altri, della Pugilistica Lucchese; dietro di loro, un po’ come uscisse da un sipario, c’era Sandro Mazzinghi con uno zaino in spalla. Non credetti ai miei occhi. Ugo Novelli, sorridente, mi chiese se sapevo chi fosse. Alla mia risposta Mazzinghi sorrise; un sorriso bonario, direi umile. Da quella sera la vita di palestra cambiò. Preciso come un orologio svizzero, Sandro arrivava e, indossata la tuta nello spogliatoio insieme a noi ragazzi, senza alcuna aria di superiorità, ma, anzi, trattandoci alla pari, iniziava ad allenarsi.

Al mattino, in località Colle Paradiso, in cima al Monte Quiesa, con veduta sul mare, aveva corso a piedi, portato sulle spalle un tronco di olivo e spaccata legna con l’ascia; esercizi che intervallava alla ginnastica specifica. La sera, in palestra, faceva sacco, pera e guanti. Gli sparring partner tardavano ad arrivare e dovette ripiegare su di noi, i ragazzi della palestra. A turno iniziammo a salire sul ring: li rivedo questi miei "colleghi": Giulio Simonelli, Alberto Brasca, Giuseppe Frugoli, Quinto Caroti, Egisto Malfatti. Ultimo, ci salivo io. Capii subito alle prime schermaglie chi sia un campione del mondo. Fermo e impassibile, il suo sguardo ti sta sempre addosso e anticipa ogni tua mossa. Sei prigioniero dei suoi occhi. Non avevo tempo di portare i colpi che avrei voluto, se non il diretto sinistro e cercavo di evitare lo scontro a breve distanza. Sandro si muoveva come un ballerino, senza accennare stanchezza. Sconcerti e il fratello di Sandro, Guido, ci avevano detto di fare la nostra boxe, senza alcun timore: Sandro in allenamento non era affatto quello dei combattimenti. Ma dovevamo essere corretti, senza mai portare colpi maligni. Chi ci provò, come Alberto Brasca, finì al tappeto. Alla fine delle tre riprese, Sandro mi metteva un braccio attorno al collo, dicendomi "Bravo".

Negli spogliatoi accennava a Ki Soo Kim. Diceva che era un osso duro e aggiungeva che, con quell’allenamento, credeva di essersi guadagnato almeno un pezzetto di pane. Gli uomini della Piaggio che passavano da quelle parti lo rifornivano di uova fresche. Un ricostituente, sano e genuino come Sandro e che lo avrebbe aiutato ad affrontare, poi, il coreano, nel terribile scontro a San Siro che tutti ben conosciamo. Un’impresa eroica. Ridette all’Italia, il titolo dei medi junior che Nino Benvenuti aveva perduto a Seul contro Kim.

Vincenzo Pardini