Alla Maratona di New York con le protesi alle gambe, stratosferico Malagoli

L’atleta disabile vince la sfida e porta a termine gli oltre 42 chilometri di corsa: "E’ stata una fantastica esperienza"

Emiliano Malagoli (a sinistra) durante la maratona di New York

Emiliano Malagoli (a sinistra) durante la maratona di New York

 

Lucca, 5 novembre 2019 - "Through the barricades". Oltre le barricate, intese come ostacoli, cantavano negli anni Ottanta del secolo scorso gli Spandau Ballet.  E lui è davvero andato più in là e lo ha fatto per dimostrare che non ci sono imprese impossibili. Il video girato dall’amico e colui che lo ha accompagnato nella storia, Claudio Comigni di Milano, responsabile marketing per l’Italia di Bridgestone, (un passato comune nel mondo delle corse in moto, con la creazione di un circuito di gare ad hoc per chi ha queste disabilità) è diventato virale. La voce, quasi fuori campo, che sprona Emiliano per gli ultimi cento metri, riesce a dare l’idea di qualcosa di grande. Malagoli ha voluto dimostrare che volere e è potere.

L’incidente con la moto sulla salita che da Marginone conduce a Montecarlo, nel 2011, gli fece perdere una gamba, la destra, mentre l’altra fu rimessa in sesto con viti di titanio. Così è ritornato a correre in sella alle due ruote motorizzate predisposte in modo speciale e poi ha alzato l’asticella. Dopo mille dubbi, ha sciolto le riserve e ha corso alla maratona di New York. Per la potenza del suo messaggio non bastava soltanto partire (sarebbe stato comunque il primo italiano a prendere il via con protesi normali, per camminare nella vita di tutti i giorni e con quelle da corsa ad esempio che indossava Pistorius), serviva di più. Con una forza mentale stratosferica è arrivato in fondo. Ha completato i 42 chilometri e 195 metri. Impresa titanica per chi deambula regolarmente. Figuriamoci chi lo deve fare in certe condizioni.

«Nella Grande Mela mi sono portato il vostro articolo della passata settimana. Un modo per caricarmi. Mi sono dovuto fermare al quindicesimo miglio, dopo una venticinquina di chilometri – racconta l’ex centauro – mi ero attrezzato con la mia equipe, ma è stata dura. La sciatica, il dolore al moncone, ogni passo un calvario, ma No surrender, come cantava Bruce Springsteen. Non mi sono voluto arrendere. Del resto l’avevo detto, se non avessi finito la prova sarebbe stato perché avrebbero dovuto ricoverarmi d’urgenza. E’ stata una fantastica esperienza, con quella folla sul percorso, dal ponte di Verrazzano a Central Park che ti incoraggia metro dopo metro. Da brividi. Non potevo mollare. Questi 42 chilometri rappresentano la metafora della vita, c’è l’entusiasmo iniziale alla partenza, assimilabile agli anni giovanili, quando fatica e sacrifici sono come alieni; poi il percorso prosegue e allora arrivano delusioni, dolori (in ogni senso), diminuisce il coraggio, avanzano i dubbi fino all’apoteosi finale. Credetemi. Come sono stati dolci quegli ultimi cento metri. Guardate – conclude Malagoli – io lo posso affermare a chiare lettere, ogni problema si può superare. Non parlo di sport, ma della vita, dove spesso pensiamo di non farcela, in base a gabbie mentali che ci portano a crederlo davvero. No, bisogna reagire».

Nel 2013 Malagoli ha fondato la Onlus Di.Di. Diversamente Disabili, la prima associazione in Italia che si occupa di avvicinare al mondo delle due ruote i ragazzi disabili che per difficoltà economiche, burocratiche non hanno avuto la possibilità di farlo. Con Annalisa Minetti, cantante e atleta paralimpica, come Madrina e Lucio Cecchinello, team manager della LCR la Onlus organizza un campionato, «International Bridgestone Handy Race» che corre all’interno della Moto Gp.

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