Le conseguenze della retrocessione

Se la Lucchese scenderà in D, oltre alla categoria, avrà calciatori svincolati e perdita del 20% di contributi per minutaggio

Il presidente della Lucchese Russo e il ds Deoma (foto Alcide)

Il presidente della Lucchese Russo e il ds Deoma (foto Alcide)

C’era una volta… E’ l’inizio di tante fiabe che di solito vengono raccontate, d’inverno, ai bambini davanti ad un caminetto acceso. Ma può essere anche l’inizio della favola rossonera, di quella Lucchese che aveva conosciuto i fasti della serie A, che era stata per 9 anni consecutivi in serie B, ma che dal 2000 ad oggi ha cominciato il suo lento, ma costante declino, tra retrocessioni e fallimenti, fino a ritrovarsi oggi sull’orlo del precipizio verso l’inferno della serie D, cioè tra i dilettanti, dopo appena un anno di serie C.

Nel breve volgere di una stagione dominata dal Covid, la società, composta da tutti (o quasi) ex calciatori rossoneri, che hanno avuto la forza ed il coraggio di ripartire dalle “ceneri“ dell’ennesimo fallimento societario (non sportivo perché la squadra, sul campo, si era salvata), per evitare che la città rimanesse senza calcio, si sono giocati, per così dire, il “bonus“ di simpatia e credibilità che tutti gli hanno riconosciuto.

E’ ovvio che la retrocessione, che è dietro l’angolo, sarebbe il frutto di una serie di errori commessi in buona fede (ci mancherebbe!), errori di natura tecnica, come la sopravvalutazione nella scelta dei giocatori, in gran parte inadeguati per sopportare le difficoltà di un campionato di serie C; ma evidentemente anche errori di inesperienza nella gestione complessiva del gruppo squadra.

Il più che probabile fallimento del progetto sportivo (quello relativo alla realizzazione del nuovo Porta Elisa corre su un altro binario), vale a dire il ritorno tra i Dilettanti, sul quale i dirigenti rossoneri dovrebbero a lungo meditare, porterebbe con sé altre spiacevoli conseguenze. Tutti i calciatori a fine stagione saranno svincolati e potranno accasarsi altrove, con la Lucchese che non prenderebbe nemmeno un euro dalla cessione di qualche giovanotto che ha disputato un bel campionato; inoltre saranno liberi di andarsene anche i ragazzi che quest’anno hanno partecipato al campionato Primavera 3, o Berretti che dirsi voglia.

E ancora. La società perderebbe il 20 per cento dei contributi federali relativi al minutaggio dei giovani. In una parola cadrebbe tutta quella “impalcatura“ tecnico-gestionale propria di una società professionistica. E la Lucchese tornerebbe ad essere una società come tante altre, anche con un passato sportivo importante, come ad esempio il Siena, tanto per citare una società toscana, che oggi militano tra i Dilettanti.

Sarebbe, insomma, la fine di una favola, il tramonto di una società blasonata. Ieri sicuramente il blasone di una Lucchese nata 116 anni fa, tra le più vecchie nel panorama calcistico nazionale, ha avuto un suo fascino, che forse mantiene ancora oggi, nonostante tutto, ma che non ha più lo stesso “appeal“. Quell’appeal che questa società è chiamata a ricreare, anche e soprattutto con la propria tifoseria, che presto tornerà al Porta Elisa. E dovrà farlo interrompendo, ad esempio, il silenzio stampa, facendo autocritica (i “processi“ non interessano a nessuno), ma spiegando le intenzioni per l’immediato futuro.

Intanto c’è un obiettivo da scongiurare: l’ultimo posto in classifica. Già, perché se dovesse finire in quel modo, la Lucchese perderebbe dei “punti“ e dunque delle posizioni nella richiesta di un eventuale ripescaggio in serie C.

Emiliano Pellegrini