Processo tra un anno ai due bar della “movida“

I titolari del “Barino di Giò“ e dello “Shaker“ in aula il 21 dicembre 2021. Dovranno rispondere di “disturbo del riposo delle persone“ in corso Garibaldi

I titolari di due dei locali più “gettonati“ della movida lucchese di corso Garibaldi sono stati rinviati a giudizio per “disturbo delle occupazioni e del riposo delle persone“. Si tratta di Giovanni Martini, titolare del “Caffè Monica“, meglio noto come “Barino di Giò“, e di Antonio Pacini, titolare del vicino bar “Shaker“ sempre in corso Garibaldi.

Tempi lunghi tuttavia per il processo: la prima udienza davanti al giudice Nidia Genovese si terrà infatti tra più di un anno, il 21 dicembre 2021. Questi i tempi della giustizia, complicati ulteriormente, se ce ne fosse il bisogno, dalla delicata situazione legata al Covid.

La decisione del pm Enrico Corucci era attesa e alquanto scontata, dopo la chiusura dell’inchiesta avvenuta nelle scorse settimane. Il caso era esploso clamorosamente sulle cronache il 30 settembre scorso, quando a carico del “Caffè Monica“ era stato eseguito dalla polizia municipale un provvedimento di sequestro giudiziario disposto dal gip Simone Silvestri. Sigilli disposti con un tale spiegamento di forze che in città si era anche sollevato un polverone di polemiche. Il locale era stato poi dissequestrato quindici giorni dopo dai giudici del riesame che avevano accolto il ricorso dei legali di Martini, gli avvocati Marco Treggi e Federico Corti.

L’inchiesta della Procura era scattata sulla base di esposti presentati da alcuni residenti della zona, che (dopo vani tentativi di mediazione anche con il Comune) si lamentavano per il volume elevato della musica e per il caos notturno anche successivo all’orario di chiusura dei locali di corso Garibaldi, soprattutto in estate. Irregolarità suffragate anche dalle misurazioni effettuate dall’Arpat e contestate sia al titolare del Caffè Monica che a quello del vicino Shaker, anche se per quest’ultimo non era poi scattato alcun provvedimento di sequestro.

Proprio sulle rilevazioni fonometriche effettuate dall’Arpat (che aveva registrato uno sforamento di circa 6 volte superiore ai limiti di legge) si era concentrata la tesi difensiva. Gli avvocati Treggi e Corti avevano sostenuto che non si potesse attribuire con certezza la ‘fonte’ del rumore in strada a un determinato locale di corso Garibaldi. Nel loro ricorso i legali del “Barino di Giò“ avevano anche riportato la testimonianza di un bodyguard che Giovanni Martini aveva ingaggiato per tenere d’occhio i clienti, nonché la presenza di un dispositivo di spegnimento automatico della musica tarato sulla mezzanotte.

Tutta la vicenda approderà dunque tra più di un anno davanti al giudice monocratico. Il reato di “disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone“ prevede al massimo l’arresto fino a 3 mesi e un’ammenda di 500 euro.

Paolo Pacini