"Sul ring con Mazzinghi, grazie a noi tornò campione del mondo"

Lo scrittore Pardini, che con altri giovani lucchesi faceva da sparring partner, ricorda le sedute che il campione da poco scomparso effettuava alla palestra Martinelli

ANSA

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Lucca, 29 agosto 2020 - Campioni ed eroi non ci lasciano mai, restano e sopravvivono fino a divenire leggenda. Così sarà per Sandro Mazzinghi, che se n'è andato qualche giorno fa, ma solo in apparenza, perché le sue imprese sul ring, i suoi libri, e la memoria che lascia in chi ha avuto la fortuna di conoscerlo, certo non passeranno.

Sono fra coloro che l’hanno frequentato, e pure intervistato nella sua casa di Cascine di Buti; parlo degli anni Ottanta, i suoi figli eraeno adolescenti. Ma il mio incontro con lui risale alla fine deli anni Sessanta, quando frequentavo la palestra di Lucca, denominata Pugilistica Vincenzo Martinelli. Tempi di gran lunga diversi agli attuali. Ogni giovane, si portava dentro un progetto che avrebbe voluto realizzare, e se non riusciva in quello,  poteva, quasi sempre, realizzarne un altro. Proprio come nell’albero dei sogni, i cui rami si spostano in direzioni diverse, ma tali restano. L’Italia di quell’epoca s'interessava molto alla boxe. Mazzinghi e Benvenuti erano amati dalla folla, che accorreva numerosa ad ammirarli nei palazzetti dello sport o negli stadi; altrimenti li seguiva per radio o in televisione. Le radio, erano sovente transistor, che si potevano tenere in borsa o in tasca. Un modo rapido e leggero per collegarsi col mondo, e i suoi avvenimenti, tra cui la boxe. Giovani e anziani seguivano Sandro con passione, e non perdevano uno dei suoi combattimenti, ai quali, emotivamente, partecipavano con tutto se stessi. Mazzinghi incarnava bene lo spirito toscano: forte, aggressivo e generoso rispecchiava bene il carattere di molti. Tutti noi avevamo mal digerito la sua prima sconfitta con Nino Benvenuti che Mazzinghi, a seguito di un grave incidente d’auto, aveva cercato di rimandare, per meglio smaltire i postumi di un trauma cranico. Ma Federazione Pugilistica e lo stesso Benvenuti, così pare, furono irremovibili. E Sandro dovette salire sul ring, consapevole dei rischi che avrebbe corso. Le riprese scorrevano veloci, con Sandro all’attacco, ma poi ci fu un gancio sinistro del triestino che lo raggiunse alla mascella e gli fece piegare le ginocchia. Nella rivincita, il combattimento si protrasse per tutte le 15 riprese; fu dato vincitore Benvenuti, ma non tutti ne furono convinti. Mazzinghi, se non vinto di stretta misura, avrebbe meritato almeno il pareggio. Chiunque può constatarlo ancora oggi, riguardando tali sequenze. Fra i due si disse che ne era uscito peggio Benvenuti, che orinerà sangue per qualche giorno. Verità o leggenda non so. Questo per dire quanto Sandro fosse sostenuto e anche coccolato nel cuore dei suoi sostenitori.

Una sera d’estate, verso il tramonto, mentre ero in attesa che giungesse l’allenatore della Vincenzo Martinelli, ecco arrivare una Giulia Super. Ne scesero Enrico Leonelli e Ugo Novelli, componenti, con altri, della Pugilistica Lucchese; dietro loro, un po’ come uscisse da un sipario, c’era Sandro Mazzinghi con uno zaino in spalla. Non credetti ai miei occhi. Ugo Novelli, sorridente, mi chiese se sapevo chi fosse. Alla mia risposta, Mazzinghi sorrise; un sorriso bonario, direi umile. Da quella sera la vita di palestra cambiò. Preciso come un orologio svizzero, Sandro arrivava e, indossata la tuta nello spogliatoio insieme ai noi ragazzi, senza alcuna aria di superiorità, ma anzi trattandoci alla pari, iniziava ad allenarsi. Al mattino, in località Colle Paradiso, in cima al monte Quiesa, con veduta sul mare, aveva corso a piedi, portato sulle spalle un tronco di olivo e spaccata legna con l’ascia.; esercizi che intervallava alla ginnastica specifica. La sera, in palestra, faceva sacco, pera e guanti. Gli sparring partner tardavano ad arrivare, e dovette ripiegare su noi, i ragazzi della palestra.

A turno iniziammo a salire sul ring: li rivedo questi miei “colleghi” : Giulio Simonelli, Alberto Brasca, Giuseppe Frugoli, Quinto Caroti, Egisto Malfatti. Ultimo, salivo io. Capii subito alle prime schermaglie, chi sia un campione del mondo. Fermo e impassibile, il suo sguardo ti sta sempre addosso e anticipa ogni tua mossa. Sei prigionieri dei suoi occhi. Non avevo tempo di portare i colpi che avrei voluto, se non il diretto sinistro, e cercavo di evitare lo scontro a breve distanza. Sandro si muoveva come un ballerino, senza accennare stanchezza. Sconcerti e Guido, fratello di Sandro, ci avevano detto di fare la nostra boxe, senza alcun timore: Sandro in allenamento, non era affatto quello dei combattimenti. Ma dovevamo essere corretti, senza mai portare colpi maligni. Chi ci provò, come Alberto Brasca, finì al tappeto. Brasca dirà che il tappeto l’aveva attratto alla stregua di una calamita. Alla fine delle tre riprese, Sandro mi metteva un braccio attorno al collo, dicendomi “Bravo”.

Negli spogliatoi, seduto sul divano avvolto nell’accappatoio per meglio sudare, accennava a Ki Soo Kim. Diceva che era un osso duro, e aggiungeva che, con quell'allenamento, credeva di essersi guadagnato almeno un pezzetto di pane. Gli uomini della Piaggio, che passavano da quelle parti, lo rifornivano di uova fresche. Un ricostituente, sano e genuino come Sandro, e che lo avrebbe aiutato ad affrontare, poi, il coreano, nel terribile scontro a san Siro, che tutti ben conosciamo. Un’impresa eroica. Ridette all’Italia, il titolo dei medi junior, che Nino Benvenuti aveva perduto a Seul contro Kim.

Proprio come accade per le leggende, potrei continuare a raccontare di Sandro non so per quanto. Mi fermo qui. Ringrazio l’amico Giulio Simonelli della collaborazione per ricostruire i dettagli di quelle giornate indimenticabili.