“L’impresa di Giovanni“, un’altra poesia di Alessandro Meschi

Un’altra poesia in vernacolo di Alessandro Meschi

L’impresa di Giovanni

Vando Giovanni ‘nforcò la biciletta e partì per il su’ giro di mura, noi si sapeva ch’era ‘na saetta ma mia che fosse fori di natura. Baluardo de ‘ccani la partenza, avanti per Cairoli e poi Mazzini, fin’a ffa’tutto ‘l giro di potenza come se fosse Bartali o Baldini.

Coll’orologio ‘mmano s’aspettava per vede’ vanto lu’ c’avrebbe messo. Anche noi a pedala’ si spalettava, ma ‘l confronto co’ lu’ non era ammesso. A ‘n certo punto, lo riordo bene, e noi s’era siuri del miraggio, varcuno disse “eccolo là che viene”. Avea fatto la ‘urva del Villaggio, e pestava ch’a dillo ‘un ci si crede. Vando a’ ppozzi del boia lo vidi ‘n faccia “lo vedi, stianta, guarda, stà per cede”.

E po’ arivò. ‘Un volle la boraccia. Si stese in tera, era davero sfatto, com’un cristo scalzato dalla croce. Ma per capi’ l’eroe, vel che avea fatto, nel pedala’ per esse più veloce, ci toccò guarda’ bene l’orologio, e ‘un dico fosser proprio tondi tondi, ma ni s’urlò con tutto ‘l nostro elogio: “QUATTRO MINUTI E QUINDICI SEONDI”!

Feci du’onti, a mente, da baccello, “la media di Sessanta?” dissi piano, “sarà anche vero ma ‘un è mia un torello”. E lu’, doppo lo sforzo disumano, stava a godessi pacche e ammirazione. A me ‘un m’andava giu, lo dio papale, ‘un istava ne’cconti né a ragione, e per de’mmesi ci so’ stato male.

Ma ‘n giorno a cena, ometti quarantenni, Giovanni si sgravò da vel gran peso, e io nell’ascoltallo ‘un mi trattenni: “era l’ora, Gimondi, ti sei areso?” Scese le mura vando fu a Mazzini, e tutti ‘ffossi fino alla salita che portava al Villaggio, co’ggradini la bici a spalla e po’ la risalita.

E lu’ rideva, a dicci dell’inganni. “Che teste avete, o ragazzi, neanch’un mulo!” Però è ganzo sape’ che per trent’anni t’han preso egregiamente per il culo.