
Pienone al festival “L’Augusta“ per ascoltare dal vivo Pietro. E in questa intervista ci racconta i retroscena di 40 lunghi anni.
di Jessica Quilici
LUCCA
Parla senza sosta, quasi come a voler sanare quel silenzio condito da depistaggi, bugie e omissioni durato per più di 40 anni. Ma se il tempo ha sbiadito i capelli e la parola ‘speranza’, Pietro Orlandi non si è mai arreso al vuoto di verità sulla scomparsa di sua sorella Emanuela, cittadina vaticana sparita nel nulla il 22 giugno 1983. "La verità c’è, noi dobbiamo soltanto trovarla", ha ribadito in esclusiva a ‘La Nazione’ prima di partecipare all’incontro sold out organizzato dall’Augusta alla Casa del Boia.
Ben quattro papati si sono alternati alla guida dello Stato Vaticano da quando sua sorella è scomparsa. Era in piazza con sua madre per l’elezione di Leone XIV, qual è stata la prima impressione?
"Non lo conosco, ma spero che abbia più coraggio di chi lo ha preceduto. Io ero contento anche per la nomina di Papa Francesco, poi sappiamo che fino a che sei cardinale ti mostri in un modo, poi vieni a conoscenza di determinati fatti e l’approccio cambia. Ho sperato fino all’ultimo in un incontro con lui o anche solo in una parola di conforto per mia madre che oggi ha 95 anni. Telefonava a tutti, andava a trovare chiunque: lei stava lì, a 200 metri da lui, ma nessuno si è mai avvicinato. L’unico scambio che abbiamo avuto è stato poco dopo la sua elezione, all’uscita della chiesetta di Sant’Anna".
A proposito di quell’incontro, cosa le disse esattamente Bergoglio?
"Come può testimoniare chi era con me quel giorno, non disse ‘Se Emanuela è in cielo’, ma ‘Emanuela è in cielo’, senza aggiungere altro. Io in quel momento la interpretai come una cosa positiva: il nome di mia sorella era sempre stato un tabù in Vaticano, e il fatto che il Papa la nominasse, anche se per dirmi una cosa pesante, lo vidi come uno spiraglio. Pensai ‘sa qualcosa, lo devo rivedere’. E per questo quando lì per lì mi chiesero cosa ci fossimo detti, modificai un po’ la frase, proprio per evitare di precludermi la possibilità di incontrarlo di persona. Quando realizzai che quell’incontro non ci sarebbe mai stato, rivelai la versione originale di quello scambio".
Attualmente ci sono tre inchieste aperte: una condotta dalla procura di Roma, una dai magistrati vaticani e una da una commissione parlamentare. A che punto sono?
"Proprio in questi giorni la commissione ha ascoltato l’ufficiale del Sisde che spesso veniva a casa nostra. Chiaro che è un organismo che non ha potere giuridico, ma è comunque un messaggio di volontà da parte della politica di impegnarsi nella ricerca della verità, cosa a lungo impensabile trattandosi di una vicenda legata alla Santa Sede. Credo anche che, a differenza di Emanuela, su Mirella Gregori (coetanea scomparsa a Roma nello stesso anno e a lungo legata al caso Orlandi, ndr) riusciranno a fare passi avanti, perché il campo è più ristretto e non c’è il Vaticano di mezzo. Su mia sorella le ‘piste’ sono state infinite e ancora oggi i media vanno a ripescare storie di 30 anni fa, già finite nel nulla, per farle diventare lo scoop del giorno, continuando a generare confusione".
A proposito di media, quanto questo ‘aprirsi e richiudersi’ di piste – depistaggi e ‘mitomani’– ha allontanato dalla verità, e quanto invece ha contribuito a mantenere alta l’attenzione sul caso?
"Oggi, a più di 40 anni, si continua a parlare di Emanuela come se fosse un fatto di cronaca recente. E questo è un dato positivo, nonostante i tentativi di far cadere tutto nel dimenticatoio. Fino a poco tempo fa il Vaticano negava l’esistenza di documenti, oggi hanno ammesso di averli trovati. Nel mentre è spuntato un fascicolo vuoto dal ministero dell’interno, sono spariti nel nulla tre faldoni del Sismi, ed emersi alcuni telegrammi scambiati sotto il governo Fanfani, coperti a oggi dal Segreto di Stato".
Lei, alla luce di tutto questo, cosa pensa sia successo a Emanuela?
"In questa storia c’è un ricattato e un ricattatore. Noi stiamo parlando dello Stato all’epoca più potente al mondo. Se vai a ricattare quell’ambiente non ti basta una ragazzina di 15 anni, neanche se è cittadina vaticana. Emanuela è stata legata a qualcosa di più grande e usata come ricatto mediatico. In tutto questo il Vaticano deve aver avuto un ruolo, altrimenti da subito si sarebbe dimostrato disponibile a collaborare".
In tutti questi anni è cambiato il suo rapporto con la verità e la speranza?
"La speranza non la prendo in considerazione, ma la verità esiste, va solo trovata. Io voglio arrivare alla fine per Emanuela, per mia madre, per il diritto alla verità ma anche per me stesso. Mi piacerebbe vivere una vita normale, con mia moglie e i miei figli. Oggi la più grande ha 30 anni, il mondo cambia e va avanti ma è come se io fossi rimasto fermo in un punto. Quando incontro gli studenti, soprattutto quelli del liceo che hanno la stessa età che aveva Emanuela, dico sempre: “non accettate mai passivamente un’ingiustizia“. Quelli sono i momenti più belli: ricevere quell’affetto e attenzione, sapere che questa storia può in qualche modo smuovere le coscienze delle nuove generazioni, mi fa dire che il sacrificio di mia sorella non è stato vano".