"Ho pensato spesso: non torno più a casa..."

Antonio Salvatore di nuovo in famiglia dopo 95 giorni di ricovero a causa del Covid. La figlia Katia: "Ci dissero che babbo non ce l’avrebbe fatta"

Migration

"Se mi sento un po’ miracolato? Tanto miracolato. Ho pensato spesso: “non torno più a casa...“". E invece Antonio Salvatore, 70 anni, di Altopascio, dopo aver combattuto il Covid nel letto dell’ospedale San Luca prima e del Versilia poi, e dopo aver rischiato davvero di non tornare più a casa, ha sconfitto questo terribile virus. E pur se ancora porta i segni del ricovero, ha iniziato di nuovo a parlare, a mangiare ("mangicchio" come dice lui), a camminare, anche se con l’uso delle stampelle. E’ rimasto ricoverato ben 95 giorni.

Antonio in ospedale si trovava esattamente nel letto di fronte a quello di Franca Dell’Immagine, la signora di Guamo anche lei tornata a casa da poche settimane dopo aver sconfitto il Covid. Le famiglie di Franca e di Antonio, come spesso succede in questi casi, si sono unite nel dramma di vedere i loro familiari immobili e quasi del tutto indifesi. E dopo aver raccontato il 30 giugno scorso la storia di Franca, oggi vogliamo proporvi quella di Antonio. Nella consapevolezza che, come ripetiamo sempre, con tutto il massimo rispetto per chi il Covid l’ha combattuto senza riuscire a sconfiggerlo, è doveroso anche dare spazio e voce a chi al contrario è riuscito in questa impresa. Come Antonio, appunto. Anche per dare un messaggio di speranza.

"Ho pensato spesso - spiega - : “non torno più a casa“. Ho pensato di morire. Sono dimagrito 24 chili. Credo di essere stato tanto miracolato". Ma per ricostruire la storia di Antonio, occorre fare un salto indietro nel tempo. A raccontarci questo tempo trascorso tra angoscia, dolore, sensazione di non farcela – il tutto acuito dalla distanza tra la famiglia a casa e Antonio ricoverato – è una dei figli, Katia.

"Mio babbo a 70 anni si è visto costretto a combattere, nel vero senso della parola, una brutta bestia: il covid, che lo ha completamente travolto - racconta Katia - . Il 12 marzo è stata accertata la sua positività al covid, come a me e Massimo (i suoi due figli), alla moglie Pina e a uno dei nipoti. I primi giorni i sintomi sono stati pressoché inesistenti, poi il 19 marzo sono comparsi febbre e una tosse secca che non gli dava tregua". La saturazione era iniziata a calare, ma Antonio (che soffre di fibrillazione atriale), dopo tutto quello che si sentiva da un anno alla tv, non voleva andare in ospedale. Purtroppo, è stato costretto a deporre momentaneamente le armi perché sabato 20 marzo mattina, aveva una saturazione di 74. "Così mio fratello Massimo ha chiamato il 118 - racconta ancora Katia - e nostro babbo è stato ricoverato nel reparto di Day Surgery del San Luca. I medici fin da subito ci hanno messo al corrente che la situazione era gravissima: polmonite bilaterale da covid e i polmoni di Antonio gravemente e pericolosamente colpiti".

Così per tre giorni hanno provato ad utilizzare l’ormai tristemente noto “casco“: ma non funzionava, Antonio non migliorava. Anzi. Così martedì 23 marzo è stato trasferito in subintensiva per tentare con la NIV (ventilazione non invasiva), ma anche quel tentativo è risultato vano. Poi una prima svolta: ma per niente positiva, purtroppo. E che fa crollare il mondo addosso ad una famiglia che non voleva arrendersi. Nel pomeriggio la situazione infatti è precipatata vertiginosamente: Antonio è stato trasferito in rianimazione dove i medici di turno hanno avvisato la famiglia che avrebbero dovuto procedere con l’intubazione. I giorni passavano tra intubazione, alternanza di posizioni prone e supine per recuperare il più possibile nell’ossigenazione, ma niente, Antonio senza il respiratore non ce la faceva.

"E così il 9 aprile la responsabile della rianimazione, la dottoressa Daniela Boccalatte, che si è prodigata fin da subito per le cure di nostro padre e non si è risparmiata in niente per portarlo ad uscirne, ci ha convocato avvisandoci che purtroppo erano passati i giorni sufficienti per capire che nostro babbo non ce l’avrebbe fatta, non c’erano più prove da tentare. Babbo non reagiva e solo un miracolo lo avrebbe aiutato".

E qui, però, una seconda svolta. Un primo spiraglio di speranza, un timido segnale arrivato a riscaldare quel ghiaccio che per settimane ormai aveva invaso casa Salvatore. "Finalmente verso i primi giorni di maggio i tentativi di staccare babbo dalla macchina hanno dato un risultato positivo e il 18 maggio è stato trasferito nel reparto di riabilitazione dell’ospedale Versilia, sotto la supervisione del dottor Posteraro, poiché le forti e lunghe sedazioni gli avevano provocato un’importante neuropatia periferica". Antonio però in quel momento voleva solo una cosa: tornare a casa dalla sua famiglia. E così, finalmente "una volta risultato negativo al virus il 23 giugno, dopo 95 giorni di ricovero, è tornato a casa sua e nel suo ambiente, grazie all’assidua riabilitazione domiciliare, al conforto della famiglia oggi finalmente cammina, e sta cercando di recuperare il più possibile per tornare alla sua vita. Noi e nostro padre vogliamo ringraziare la dottoressa Daniela Boccalatte, che ha creduto nella “medicina degli affetti familiari” per la ripresa di un caso del genere, permettendoci di stare vicino a nostro babbo praticamente quasi ogni giorno. Anche la sua equipe, il dottor Silvestri, il dottor Di Martino, la dottoressa Ferrarini e anche gli altri come gli infermieri che si sono presi cura di lui, Michele, Giulia e la caposala Patrizia. Come anche le logopediste e i fisioterapisti, tutti, che lo stanno seguendo a casa. Un ringraziamento doveroso a tutti i parenti e gli amici che ci hanno sostenuto, supportato e aiutato in tutto questo calvario". E ora: "Un sogno? Quando è finito tutto - dice Antonio - , fare una bella cena con parenti e amici!".

Cristiano Consorti