Muore in carcere, era malato cronico. Per tre volte l'avvocato aveva chiesto i domiciliari

Aperta un’inchiesta. Alla notizia è scoppiata la protesta dei detenuti

Tensione in carcere

Tensione in carcere

Lucca, 29 dicembre 2018 - Il suo avvocato, per tre volte da gennaio, aveva fatto richiesta di trasferimento ai domiciliari. Il motivo: le precarie condizioni di salute del suo cliente, T.M., 55enne lucchese detenuto nel carcere San Giorgio di Lucca per reati contro il patrimonio. Ma la raffica di domande per una misura alternativa alla detenzione, non era servita a niente: il 55enne da quella cella non è mai uscito. Se non dentro una bara. È lì che, il giorno di Santo Stefano, gli agenti della Penitenziaria hanno trovato il suo corpo senza vita. Forse, a stroncarlo proprio un malore. Sul quale adesso la magistratura lucchese, vuole vederci chiaro. Ieri il pubblico ministero Antonio Mariotti ha aperto un fascicolo d’inchiesta contro ignoti e disposto l’autopsia sul corpo dell’uomo che, da tempo, era affetto da un problema di salute cronico. Lo stesso che potrebbe aver spezzato la sua vita. L’obiettivo: capire quali siano le casi reali della morte del 55enne e se ci siano eventuali responsabilità da parte del personale del penitenziario. Dove non appena la notizia del cadavere trovato in cella si è diffusa, è scoppiata una violenta protesta. 

Ad alzare la voce i detenuti della terza sezione, quella con gli ospiti più problematici della struttura, che hanno cominciato a sbattere pentole sulle inferriate. La tensione è arrivata alle stelle tanto che fra gli stessi carcerati si sono verificate risse e quattro di loro sono stati ricoverati infermeria. Il verdetto dell’autopsia arriverà tra 90 giorni, nel frattempo anche i familiari dell’uomo hanno nomianto un perito di parte. Ma intanto l’Osapp (Organizzazione sindacale autonoma polizia penitenziaria), dopo l’episodio ha lanciato un sos al ministero della Giustizia. «Siamo drammaticamente vicini – commenta il segretario generale Leo Beneduci – al punto di non ritorno verso l’assoluto disastro del sistema penitenziario italiano. Rinnoviamo l’invito al governo e ai ministri Bonafede e Salvini – aggiunge – per l’apertura di ogni spazio di analisi e confronto con il personale di polizia penitenziaria». 

Quella del San Giorgio di Lucca è la seconda morte in cella dal 2016, l’ennesima in tutta Italia dove dal 2017, almeno 60 detenuti si sono tolti la vita. A puntare il dito sui numeri è il Garante per i diritti dei detenuti, Franco Corleone. «Quello di Lucca è un episodio tragico che non doveva accadere. I detenuti – spiega – in Toscana stanno aumentando. Mentre in tutto il Paese sono quasi a quota 60mila, nella nostra regione hanno superato le 3.400 unità. Tutti in una condizione che desta grande preoccupazione». Quelli calcolati da Corleone, infatti, sono le stesse cifre che la Toscana e l’Italia avevano nel 2013, quando la Corte europea per i diritti umani di Strasburgo condannò il nostro Paese per trattamenti inumani e degradanti verso i reclusi. «Da quel giorno – dice – furono proposte misure strutturali per risolvere l’emergenza sovraffollamento e il precedente Governo, usufruì di una legge-delega che però adesso è scaduta. Senza che finora sia stato fatto nulla tranne che per l’ordinamento minorile». 

Il risultato: di carcere in molti casi, si muore ancora. In Toscana il 30% dei detenuti è dentro per violazioni della legge sulle droghe e più del 20% sono tossicodipendenti. «Deve essere posta più attenzione sulla salute mentale e fisica dei detenuti. Nei prossimi mesi – conclude – presenteremo un dossier a livello regionale su questo tema: serve più investimento anche della società civile e del servizio sanitario».