L’altra faccia del virus: "Mamma non mangio più"

Quando il Covid interrompe l’adolescenza. Il racconto: "Mia figlia di 13 anni nel tunnel dei disturbi alimentari a causa della paura del Covid"

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Lucca, 18 aprile 2021 - "Mamma, non posso mangiare. Perché ho un nodo qui, alla gola". La sua bambina, 13 anni e un balcone affacciato sulla vita che un giorno è sparito perché le dita dei suoi piedi si erano fatte di pastafrolla e non spingevano più su, verso la luce. Quella bimba, figlia di una madre residente in provincia di Lucca, aveva rinunciato a mangiare, tranne qualche pezzetto di biscotto qua e là, ad aprire più la porta di camera dove se ne stava chiusa in silenzio per giorni.

Aveva chiuso la porta a quella vita, assorbendo ansie e paure di una pandemia che stava stravolgendo il mondo. La stessa pandemia che aveva abbassato la saracinesca del negozio del padre parrucchiere, spento la musica dell’orchestra in cui suonava, trasformato la scuola sua e dei suoi amici in qualcosa di zoppicante e digitale. "Mia figlia - dice questa mamma - è dolcissima, la più dolce, intelligentissima, più dei ragazzi della sua età, mi creda". Eppure "era infilata in un tunnel cieco e privo di ragione", dove combatteva con i suoi 30 chili scarsi e quella fame di vita che non c’era più. "Dirle ‘tesoro mangia’ non serviva a niente, perché l’anoressia non è un capriccio ma una malattia vera che solo gli specialisti possono curare" dice la mamma. Così "quando la mia bambina ha smesso anche di bere l’acqua non c’è stato altro da fare che ricoverarla all’ospedale, perché al Meyer di Firenze non c’era posto per almeno 10 giorni. Dieci giorni di tubicini che le hanno causato anche una una tromboflebite al braccio".

Poi si aprono le porte dell’ospedale pediatrico e la piccola inizia piano piano dalla sua ferita a vedere una feritoia di luce. Pasti assistiti, quelle parole dolci e chirurgiche dei medici, le piccole complicità con gli altri ragazzini ricoverati, "oggi amici di vita". La piccola non è la sola: all’ospedale pediatrico Meyer da gennaio a febbraio 2021 i casi di disturbo del comportamento alimentare simili sono stati 21, contro uno solo dell’anno prima.

"Chi soffre di Dca ha bisogno di cure immediate e specifiche, ha bisogno di essere visto e ascoltato, perché questo dolore non si sceglie, capita. E quando succede stravolge tutto, come un uragano in tempesta – racconta la mamma – nessuno ne è immune, noi siamo una famiglia normalissima come tante altre, eppure ci siamo trovati il 26 maggio 2020 con nostra figlia ricoverata per anoressia nel reparto di neuropsichiatria infantile. Il percorso è stato devastante all’inizio, vedere una ragazza che è sempre stata felice e contenta della sua vita che piano piano sparisce dietro ai suoi chili è un’esperienza che ti cambia per sempre. Il Dca si scopre poi piano piano che è un sintomo e il cibo il modo scelto per comunicare un malessere profondo, qualcosa che rimane dentro e che non si riesce a far uscire a parole. Nei 5 mesi tra ricovero e day hospital ne ho sentite tante di storie, tutte diverse, ma con una cosa in comune: un grande dolore dentro una grande sensibilità , fatto a volte da episodi di bullismo, di isolamento, di sofferenze familiari, di traumi che hanno preso la forma della paura del cibo. Per questo è importante la cura immediata".