Cipollini dopo il trapianto: ‘Vivo grazie al cuore di un ciclista. Mario? Mai fatto vivo’

Il fratello di Mario Cipollini: ‘Prego per l’uomo che mi ha donato il cuore’

Lucca, 31 marzo 2019 - «Vivo con i guanti e la mascherina al volto. Li indosso sempre quando vado in giro e intorno ci sono persone. Li tolgo quando sono all’aria aperta o quando mi trovo insieme agli amici dai quali so di non poter aspettare nulla di male. Nemmeno il contagio».

Cesare Cipollini, sessant’anni, una carriera di bravo ma non eccelso ciclista professionista e una vita sempre vissuta fino in fondo, fino all’ultima stilla, sa di essere un sopravvissuto. Sopravvissuto a un cuore malato che gli avrebbe lasciato poche speranze. «Poi mi chiamarono alle tre di notte. “Venga a Bologna”. Parto subito, mi operano in tre ore. Ho un cuore nuovo. Un mese fa ero morto, ora sono un uomo con davanti la vita, tanta vita».

Grazie al cuore di un ciclista.

«So che la persona che mi ha donato il cuore aveva trentott’anni e che praticava il mio stesso sport. Forse come amatore. Di certo, era appassionato. Di più non mi hanno detto, ma ora sono certo di conoscerlo perfettamente. Mi sono creato la sua figura, la sua immagine. Lo penso in ogni momento. Prego per lui, per i suoi cari che non conoscerò mai e che ringrazio per avere compiuto il gesto. Spero un giorno di incontrarlo. Sono sicuro che succederà».

Cesare Cipollini parla dal negozio di Ivano Fanini a Lunata. Ivano fa parte della famiglia che scoprì Cesare giovane ciclista. Lorenzo, il padre, gli fornì la bici con cui Cipollini disputò le Olimpiadi di Montreal 1976, dove corse con Saronni, Candido e Callari la prova di inseguimento con la maglia azzurra. «Quinto posto, forse per l’emozione. Il record del mondo era nostro, impiegammo otto secondi più del nostro limite».

Fanini ha seguito Cesare come un fratello maggiore, fino a questa gara, la più dura di tutte. Cipollini è con la compagna Monica Giusti, Fanini con la signora Maria Pia. Aria di famiglia, clima di sollievo, quasi festa. «Per la festa aspettiamo – fa Cesare – Devo andare ogni settimana a Bologna. Fra un anno potrò fare previsioni».

A Bologna l’ha operata un chirurgo donna.

«Bravissima, umana. Dolce. Sofia Martin Suarez. Veniva ogni giorno a trovarmi, in ospedale. Vuole visitarmi di persona ogni volta che ci torno. Straordinaria, lei e il personale. Se sono vivo, lo devo al donatore e a lei. Purtroppo, non ho potuto ricambiare tutto quello che mi ha dato».

In che modo avrebbe potuto?

«Lei e il suo staff aspettavano di incontrare mio fratello Mario. Avrebbero voluto accoglierlo in reparto, chiedergli un autografo, farsi foto con lui».

Invece?

«Non si è fatto vivo. Mai».

Nemmeno una telefonata?

«Nemmeno. So che è in formissima. Bici, amore. Magari stessi come lui».

Non vi vedete mai?

«MI saluta se c’incontriamo per strada. Mi chiede del mio bimbo, Edoardo. Purtroppo però non si fa mai vedere da lui. Uno zio campione non dovrebbe restare indifferente a un nipote che pratica il suo stesso sport».

Edoardo ha 14 anni ed è un campioncino.

«Così dicono. E’ terzo in Italia nella sua categoria con sei corse disputate in meno degli altri, è campione toscano in carica. È bravo su tutti i terreni, a quell’età è presto per distinguere un velocista da un passista o uno scalatore. Lui ha la cattiveria giusta, quella che avevo io e che ha avuto, talvolta degenerando, Mario. La cattiveria agonistica di famiglia».

Oggi Edoardo affronta la prima gara della stagione, a Monte San Quirico.

«Corre con la maglia del Montecarlo. Non posso seguirlo, ma è come se fossi a bordo strada».

Parliamo delle cose belle del dopo operazione.

«Il sorriso di Monica, la mia compagna attraverso il vetro. La vicinanza dei miei figli Francesco di 39 anni e Cecilia di 34, mamma di Ginevra, di cui sono nonno. Poi, i messaggi e le visite degli amici, di vecchi uomini di ciclismo come Primo Franchini. E Ivano, non manca mai. Ma c’è un’altra cosa».

Prego.

«E’ stato bellissimo ritrovare il futuro. Vivevo in un presente infinito, non programmavo neanche per l’ora dopo».

Interviene Ivano Fanini: «Cesare è rinato e Edoardo per l’età che ha, ha talento che, se fosse calciatore. farebbe presagire un Ronaldo». Attenzione, non è che a parlarne così, il ragazzo si bruci? «No. E’ equilibrato, tosto. Da dilettante, anzi, già da juniores, verrà a correre con me. Ma se fosse necessario, allestirei subito una squadra giovanile attorno a lui».

Fanini osserva Cesare, lo abbraccia parlando di Edoardo, della famiglia che c’è ed è presente e compensa l’altra famiglia, che pure c’è ma non si fa vedere e sentire.

«Cesare ha davanti a sé un futuro bellissimo, con Edoardo in bicicletta che diventerà un campione». «Sai cosa ti dico, Cesare? Fra vent’anni la gente domanderà a Mariose è fratello del papà di Edoardo. Gli chiederenno se lui è fratello di Cesare».