Umberto Sereni
Si sono tenute ieri a Montecatini ed a Pieve a Nievole le manifestazioni indette per ricordare il funesto anniversario dell’aggressione a Giovanni Amendola avvenuta il 20 luglio del 1925, esattamente un secolo fa.
Il tragico episodio, a pochi mesi dall’assassinio di Giacomo Matteotti, segnava il culmine della guerra ingaggiata dal fascismo per liquidare le ultime resistenze liberal-democratiche che ancora si opponevano alla conquista definitiva del potere da parte di Mussolini e del suo movimento.
Tra i pochi oppositori che cercavano di contrastare la soverchiante avanzata nera si distingueva per il coraggio e per la lucidità politica il deputato liberale Giovanni Amendola che non si rassegnava alla sconfitta ed anzi sollecitava le residue forze democratiche a dare prova di rinnovato vigore. Il suo disegno mirava a isolare politicamente e moralmente il fascismo in nome dei principi costituzionali che l’azione di Mussolini stava distruggendo indirizzata com’era verso la costruzione del regime totalitario.
Con questo programma Amendola aveva promosso la formazione dell’Unione Democratica Nazionale, che riuniva vecchi e giovani oppositori ed aveva preso ad incalzare i vertici fascisti accusandoli della responsabilità della morte di Matteotti.
Per i fascisti in marcia verso il potere nella primavera/estate del 1925 Amendola rappresentava un fastidioso e pericoloso ostacolo e assai presto si convincevano della necessità di eliminarlo. Per farlo ci voleva l’occasione propizia e questa si presentò quando l’onorevole Amendola, verso la metà del luglio, decise di recarsi a Montecatini per la cura delle acque.
Un’occasione così propizia per regolare i conti con Amendola i vertici del fascismo non se la fecero scappare ed infatti si attivarono subito per “risolvere la questione Amendola”. Alla maniera fascista con una violenta aggressione con tanto di bastonatura con legni chiodati che procurò al deputato liberale le ferite mortali.
Questa terribile scena del massacro di Amendola avvenne tra il pomeriggio e la notte di lunedì 20 luglio e si svolse tra Montecatini e Pieve a Nievole, comuni che allora facevano parte della provincia di Lucca.
Si deve insistere proprio su questa “connessione lucchese” dell’aggressione ad Amendola perché sta proprio qui la chiave che consente di definire in ogni suo passaggio, dall’ideazione all’esecuzione, una delle più efferate azioni criminali del fascismo reale.
Non è certo motivo di soddisfazione campanilistica affermare che il massacro di Amendola è di marca lucchese ed avviene secondo l’asse Roma-Lucca che aveva legato i vertici del potere romano (Partito Fascista e Ministero dell’Interno) con il killer che concepì e mise in atto il piano delittuoso. Il killer rispondeva al nome di Carlo Scorza, il “condottiero” del fascismo lucchese, che per l’occasione si avvalse della collaborazione di una squadra di fascisti di Montecatini, capitanati dal ragionier Guido Guidi.
Personaggio dalle spiccate attitudini criminali e dalla pronunciata sete affaristica, Scorza era in stretto collegamento con Roberto Farinacci, neo segretario del Partito del quale condivideva l’azione rivolta ad eliminare le opposizioni. Non gli ci volle molto per comprendere che con Amendola gli si presentava un’ottima occasione per dare prova delle sue attitudini ed allestì un piano che funzionò alla perfezione.
Il piano era così congegnato: non appena Amendola arrivò a Montecatini e prese alloggio all’Hotel La Pace, una gran massa di fascisti, precedentemente allertati, circondò l’edificio e prese a scorrazzare per i piani dell’albergo. Agivano indisturbati, perché dal Viminale, nonostante le assicurazioni fornite al deputato liberale, non vennero prese iniziative per tutelarlo. In pratica Amendola fu lasciato in mano dei suoi carnefici.
Che svolgevano il piano architettato da Scorza che da Lucca per telefono con il Guidi seguiva lo svolgimento delle operazioni ed attendeva il momento per presentarsi a Montecatini. Lo faceva quando l’assedio durava ormai da ore e già si era fatto notte. Con l’arrivo di Scorza la scena entrava nel suo tragico epilogo. Ormai convinto della pericolosità della sua permanenza nell’albergo Amendola si faceva persuadere a lasciarlo per farsi condurre alla stazione di Pistoia.
Scorza, personalmente, gli assicurò l’incolumità che era affidata ad un camion di Carabinieri che aveva l’ordine di scortare l’auto del deputato liberale. Ma l’autista della vettura aveva avuto altre disposizioni ed accelerò subito in modo che i Carabinieri ne persero le tracce. Imboccò poi la strada che andava verso Serravalle dove all’altezza della località “La Colonna” l’attendeva una feroce squadra di fascisti che si dava al linciaggio di Amendola.
Era la notte del 20 luglio 1925. Al deputato liberale rimanevano pochi mesi di vita che finiva il 7 aprile 1926.