Lucca, 1 febbraio 2013 - Da quando è iniziata la sequenza sismica, il 25 gennaio scorso, ogni mattina alle ore 7,45 italiane (e poi di nuovo alle ore 19,45 l’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia diffonde un comunicato/report sulla stessa sequenza di terremoti. Quello di giovedì mattina, di tredici righe, evidenziava ovviamente la novità della scossa di magnitudo 3.3 della notte precedente. Leggiamolo nella sua stesura completa. «Dopo alcuni giorni di lenta decrescita della sismicità, con scosse molto piccole (da magnitudo 2.8 in giù) localizzate quasi tutte a nordest della scossa principale del 25 gennaio, la scossa di magnitudo 3.3 delle ore 0,42 della notte scorsa segna un punto di svolta della sequenza. Questa affermazione – si legge nel comunicato di Ingv – ha due motivazioni: 1) si tratta della seconda scossa più forte di una sequenza caratterizzata da una ricchezza di scosse molto piccole e una anomala assenza di scosse di magnitudo intermedia (nel range 3.0-4.0); 2) la nuova scossa della notte scorsa è avvenuta a sudovest della scossa principale, quindi in posizione opposta rispetto allo sviluppo del resto della sequenza, che come detto si concentra a nordest della scossa principale. Se resta confermata l’ipotesi che la sequenza sia generata da una struttura orientata nordest-sudovest, dunque trasversale alla catena, nelle prossime ore potrebbero avvenire altre scosse a sudovest della scossa principale in prossimità dell’abitato di Castelnuovo Garfagnana e dell’epicentro del terremoto del 23 gennaio 1985 (magnitudo 4.2)».

Insomma non ci sono parole di certezza di terremoto né di scosse distruttive visto che l’ipotizzata scossa a sud-ovest verso Castelnuovo Garfagnana viene associata al più all’evento del 23 gennaio 1985 (magnitudo 4.2) ovvero al terremoto che la sera dello stesso 23 gennaio 1985 portò all’unico allarme sismico d’Italia, con l’annuncio alla televisione di “una possibile scossa tellurica pericolosa” nelle successive 48 ore. Ovviamente la scossa preannunciata non ci fu. A distanza di 28 anni e con le aumentate conoscenze scientifiche, ma anche con la migliore dotazione di strumenti di registrazione e controllo nella zona della Garfagnana questo nuovo allarme era veramente infondato, almeno dal punto di vista scientifico. Chi lo ha deciso evidentemente non ha valutato bene il significato di certe parole, costringendo decine di migliaia di persone a vivere ore di paura e di grande disagio fuori dalle loro abitazioni.

Già nella serata di giovedì, mentre si rincorrevano notizie più o meno controllate, era evidente che in questa occasione non c’era stato, né poteva esserci alcun allarme lanciato dall’Istituto nazionale di geofisica o dal Dipartimento della Protezione civile nazionale. I contatti telefonici di giovedì sera fra Istituto di geofisica e Dipartimento della protezione civile facevano pensare anzi a un comunicato che di fatto è arrivato soltanto ieri mattina. Il primo a precisare la portata del comunicato di giovedì mattina è stato Gianluca Valensise, funzionario della sala sismica dell’Istituto nazionale di geofisica. «Nel comunicato di giovedì non è stata formulata alcuna previsione di forti terremoti, ma semplicemente una valutazione sulla possibile evoluzione della sequenza iniziata il 25 gennaio scorso con una scossa di magnitudo 4.8. I dati già in possesso dell’Ingv – ha detto Valensise – consentono di vincolare la sequenza in atto su una faglia sismogenetica orientata nordest-sudovest, dunque perpendicolare alla Valle del Serchio e alla catena appenninica, lungo la quale già in passato si è avuta sismicità di livello intermedio, con terremoti che hanno raggiunto o superato di poco la magnitudo del terremoto del 25 gennaio scorso (magnitudo 4.8), ad esempio nel caso del terremoto del 6 marzo 1740 magnitudo 5.2. Tenendo sempre ben presente che complessivamente la Garfagnana e la Lunigiana sono zone ad elevata pericolosità sismica, come ben rappresentato nella mappa della pericolosità sismica che è alla base della normativa antisismica vigente, la valutazione di questa mattina intendeva semplicemente sottolineare il fatto che future scosse della sequenza avrebbero potuto avvenire anche nella porzione più sudoccidentale della faglia identificata, ovvero in prossimità di Castelnuovo Garfagnana e del margine orientale delle Alpi Apuane. Le conoscenze attuali indicano che sequenze come quella in atto si sono già verificate ripetutamente in passato senza culminare in scosse distruttive, ma le stesse conoscenze non consentono né all’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia né a chiunque altro di prevedere l’evoluzione della sequenza in atto».

A ribadire l’assurdità dell’allarme sismico e dell’evacuazione della popolazione è stato poi lo stesso presidente dell’Istituto nazionale di geofisica, Stefano Gresta. «L’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia precisa che, in relazione a quanto riportato nel comunicato del 31 gennaio 2013 indirizzato al Dipartimento della Protezione civile, non ha fornito alcuna previsione né tantomeno ha lanciato un  allarme. L'Ingv precisa inoltre che con il comunicato della mattina del 31 gennaio si intendeva mettere in luce alcuni aspetti spaziali dell'evoluzione della sequenza, e sottolinea che la sismicità registrata finora rientra nel quadro atteso per sequenze sismiche di questo tipo. Le scosse successive a quella di magnitudo 3.3 avvenuta nella notte tra il 30 e il 31 gennaio sono localizzate a NNE della stessa. Nelle ultime 12 ore nella zona non si sono verificate altre scosse. L'Ingv ricorda che la Garfagnana è una zona ad alta pericolosità sismica e che la probabilità di forti terremoti è costantemente non trascurabile. Il trend medio della sequenza in termini di numero di scosse è in fase di generale decrescita, ma sono possibili variazioni statisticamente frequenti rispetto a questo andamento».

Fedora Quattrocchi, responsabile dell’unità funzionale geochimica dei fluidi, stoccaggio geologico e geotermia della sezione sismologia e tettonofisica dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia, ovvero la ricercatrice che è stata incaricata di effettuare le analisi di dettaglio nella zona della Garfagnana dopo la scossa del 25 gennaio, ha poi completato il quadro. «Da parte di un sindaco, credo in buona fede, si continua a confondere le valutazioni che il Dipartimento Protezione civile o gli enti di ricerca danno di “previsione” probabilistica a medio termine (giorni, mesi, anni) utili a una commissione dei lavori pubblici per costruire bene le case o sistemare quelle più a rischio, e le indicazioni che invece si danno sul breve e brevissimo termine (giorni, ore). Solo queste – osserva Fedora quattrocchi – sono utili per una commissione grandi rischi del Dipartimento protezione civile, durante una sequenza sismica come all’Aquila, come in Garfagnana o come al Pollino. Se la gente, i sindaci, i settori locali della Protezione civile non capiscono ancora queste differenze, che sono state ben gestite in 30 anni, bisogna fare una riflessione tutti insieme. Magari indire un convegno nazionale e discutere serenamente. Questo soprattutto perché con la sentenza L’Aquila alla Commissione grandi rischi del marzo 2009, gli scienziati, di qualunque grado, sono legalmente equiparati nel bene e nel male, ai decisori politici. Paradossalmente ora i giornalisti tendono ad andare alla fonte del dato, cioè all’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia ed altri enti di ricerca, ma questo non rende il nostro lavoro sereno, soprattutto se qualsiasi cosa noi diciamo ci può comportare un rinvio a giudizio. Per il brevissimo termine si continua a dare importanza solo alla sismologia probabilistica, senza peraltro definire le soglie numeriche probabilistiche di ingaggio dei vari rimedi utilizzabili per la Protezione civile. Quindi non è sufficiente utilizzare solo quei metodi, che anzi come nel caso specifico possono essere male interpretati, se ad essi non sono associate delle soglie numeriche oltre le quali: 1) si evacua, 2) si allerta, 3) si predispongono alloggi provvisori, ecc. Manca completamente un settore/esperto dentro la commissione grandi rischi che si occupi di valutare oggettivamente i transienti che in letteratura sono definiti di “breve e brevissimo termine” non sismologici: le variazioni dei fluidi, nelle deformazioni del suolo, nel comportamento degli animali, nei segnali elettromagnetici, ecc. Non lo dico perché il mio gruppo di lavoro se ne occupa, ma perché ormai dovrebbe essere un fatto scontato.  Anche perché i transienti a breve e brevissimo termine vanno studiati in modo multidisciplinare e sempre con la priorità di comprendere tutto il processo di preparazione di forti eventi sismici, e non solo dal punto di vista sismologico, ma geomeccanico, geochimico, tettonico, elettromagnetico, ecc. Non deve esistere più che ci siano dei membri della commissione grandi rischi che dicono: “io considero solo dove sono localizzati i terremoti” senza dare valore a dove sono e come sono le strutture geologiche, gli acquiferi, le barriere geomeccaniche e geochimiche come le faglie trasversali, ecc. La forza dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologica, voluta dalla crasi geofisica-geologia, voluta per anni dal connubio Boschi-Funiciello (uno messo all’angolo da una sentenza  tutta da rivedere ed un altro defunto) potrebbe essere a rischio. Attenzione che Comuni e Regioni non improntino reti di monitoraggio geochimiche e geofisiche, per lo studio dei transienti a breve e brevissimo termine, affidando le reti di monitoraggio dei transienti di brevissimo termine a “venditori-brevettatori” di strumenti, in attività pubblico-private con conflitto di interessi. Bisogna essere vigili su fronti etici se non addirittura penali (utilizzo delle proprie cariche pubbliche per lucro personale). Personalmente veglierò per il bene del Sistema Paese».

Ormai è evidente che pesano le parole di condanna della sentenza di primo grado del processo dell’Aquila, emessa il 22 ottobre scorso e le cui motivazioni sono note dal 18 gennaio scorso. La condanna a 6 anni per omicidio colposo di sette partecipanti alla riunione della Commissione Grandi Rischi del 31 marzo 2009,  tenutasi pochi giorni prima del terremoto in cui morirono 309 persone. La sentenza sostiene che gli scienziati avrebbero potuto sapere ciò che stava per accadere ma non si sarebbero curati o meglio, avrebbero volutamente evitato di comunicare adeguatamente il rischio. Una tesi ovviamente che attende ora il processo d'appello. Ma intanto è evidente che quelle parole sulla sentenza: «Dovevano fornire ai cittadini abruzzesi tutte le informazioni disponibili alla comunità scientifica sull’attività sismica delle ultime settimane» hanno trovato proprio in Garfagnana la prima applicazione pratica, forse soltanto per paura di altre sentenze avverse.

«No caro giudice – commenta Fedora Quattrocchi – non tutte le informazioni vanno date al pubblico in conclusione della lettura della prima pagina della sentenza, come non tutti i referendum tecnologici possono essere in mano al grande pubblico, senza una corretta adeguata informazione scientifica preventiva e non in mano ad altre populistiche categorie di umani. La democrazia potrebbe diventare una dittatura della maggioranza non scientifica sulla minoranza scientifica. Ce li vedete voi i cittadini, anche pensionati, con poca attitudine alla lettura rapida, che si leggono tutte le migliaia di informazioni sotto forma di pubblicazioni, mappe, poster che Ingv, Cnr, Università, Enea o Ogs hanno svolto negli ultimi 30 anni sull’area dell'Italia centrale sismogenetica? Informazioni che, se lette fuori dal contesto geologico, geofisico e geochimico regionale, ricostruito fino alla recenti-quaternarie ere geologiche, non hanno alcun senso? I tempi di ritorno di un evento sismico su un singolo segmento di faglia, delle decine ivi presenti, sono dell’ordine delle centinaia di anni e ogni faglia ha la sua particolare storia e caratteristiche».

Intanto, oltre alle varie critiche di chi si è trovato costretto a trascorrere la notte fuori casa o è stato svegliato, a Lucca, dalla comunicazione registrata della Protezione civile, non mancano i dubbi circa il reale scopo dell’iniziativa di mettere in allarme la popolazione della Lucchesia. Il ricordo torna, inevitabilmente, a quell’allarme del 23 gennaio 1985 che, nei mesi successivi, portò in Lucchesia 40 miliardi delle vecchie lire. Forse qualche amministratore comunale, deluso dalla mancanza di fondi annunciata dal capo Dipartimento della Protezione civile, Gabrielli, nella visita di mercoledì, ha voluto giocare al rialzo, facendo capire che per mettere in sicurezza la Garfagnana sono necessari altre decine di milioni di euro? Non è da escludere. Visto che questa allarme ha avuto un costo non soltanto a livello sociale ma anche economico. I sindaci della Garfagnana, in raccordo con la Regione, la Prefettura e la Provincia di Lucca, hanno infatti attivato i propri piani di emergenza e i centri operativi comunali e intercomunali, hanno allestito le strutture per fornire assistenza alla popolazione e hanno garantito l’informazione ai cittadini. In particolare hanno consigliato alla popolazione di uscire dalle proprie abitazioni per raggiungere le aree sicure previste dai piani. Migliaia di persone sono scese in strada e hanno trascorso la notte fuori dalle proprie abitazioni. La Regione ha attivato la colonna mobile regionale per fornire ai Comuni tutto il supporto necessario in termini di logistica e di assistenza, con l’ausilio del volontariato di protezione civile. Ieri sono state chiuse le scuole, ma anche alcune attività economiche. Per qualcuno è procurato allarme.