Morte di Morosini, le motivazioni della sentenza di condanna dei medici

"Erano tenuti all'uso del defibrillatore"

Piermario Morosini

Piermario Morosini

Livorno, 14 dicembre 2016 - "Tutti i medici che hanno collaborato e si sono avvicendati nei primi soccorsi a Morosini erano tenuti all'uso del defibrillatore". E' uno dei passaggi centrali delle motivazioni, contenute in 40 pagine, della sentenza di condanna del medico del 118 Vito Molfese (1 anno), del medico sociale del Livorno Manlio Porcellini e del medico del Pescara Ernesto Sabatini (8 mesi ciascuno), per la morte del giocatore Piermario Morosini, avvenuta il 14 aprile 2012 a seguito di un malore avuto allo stadio Adriatico di Pescara durante l'incontro di calcio Pescara-Livorno.

Un concetto che il giudice monocratico del Tribunale di Pescara, Laura D'Arcangelo, ribadisce a piu' riprese: "Porcellini, Sabatini e Molfese, intervenuti in soccorso di Morosini nei primi minuti dopo il malore, avrebbero dovuto, una volta effettuate le manovre prodromiche, procedere alla defibrillazione". Sulle cause del decesso, D'Arcangelo condivide le conclusioni dei periti , secondo le quali "Morosini è stato colpito da fibrillazione ventricolare indotta dalla cardiopatia aritmogena da cui era affetto e dallo sforzo fisico intenso".

Il giudice sottolinea, inoltre, che "poiché la funzione e l'uso del defibrilatore, come efficacemente osservato dai periti, costituiscono elementi del patrimonio professionale di ogni medico-chirurgo, anche in carenza di specializzazioni, non c'è dubbio che ognuno degli imputati avrebbe dovuto, constatati i sintomi, verificare, se ce ne fosse stato bisogno, la disponibilità di un defibrillatore".

D'Arcangelo evidenzia che, dall'esame degli immagini televisive, il defibrillatore "era presente sul campo, aperto e pronto all'uso, posizionato esattamente accanto alla testa di Morosini". Il giudice, inoltre, esclude "qualsiasi incidenza, in termini di responsabilità degli altri medici, del ruolo di leader eventualmente attribuibile a uno di loro".

Questo in virtù del fatto che "l'utilizzo del defibrillatore in tale frangente costituisce una procedura codificata e non connessa ad alti livelli di specializzazione". D'Arcangelo, poi, traccia "una graduazione delle responsabilità sotto il profilo della colpa" e, dopo aver evidenziato che dalle linee guida "non sia ricavabile una regola precisa e consolidata che codifichi l'attribuzione dei ruoli nell'esecuzione di una rianimazione cardiopolmonare", sostiene che "il ruolo di leader avrebbe dovuto essere assunto da Molfese". Questo perché "era sicuramente il soggetto più esperto, essendo istituzionalmente addetto, come responsabile del servizio del 118, alla gestione delle emergenze sul territorio".