Cecina, 12 aprile 2012 - «Houston, abbiamo un problema». Jury Trusendi, capo del comitato di Poggio Gagliardo «Trielina? No grazie» se non altro, non perde l’ironia: «Ho contattato “Striscia la notizia” e passato le carte ai legali di Marcello Demi, presidente regionale del Wwf. I “nostri” veleni emigrano. Se la bonifica definitiva non parte rischiano grosso due Comuni e se in Regione battono cassa… siamo rovinati».

Fuori dal quartier generale del gruppo, la multifamiliare di fronte all’ingresso del centro commerciale «Brico-Dico», sventola il nuovo lenzuolo: «Acqua alla trielina: solo il colpevole deve pagare». Continua così la battaglia dei proprietari di terre impestate da trielina e perclorotilene, solventi cancerogeni utilizzati per lo sgrassaggio delle pelli e il lavaggio a secco. Spiega Trusendi: «Combattiamo contro una “norma ingiusta” (il codice ambientale 2006). In assenza di un colpevole questa legge nazionale dividerà tra tutti noi i 5milioni della bonifica in programma».

Un pericolo reso reale — il 23 dicembre — dall’assoluzione in primo grado dei due unici imputati (l’ex proprietario della Conceria Massini e il figlio, amministratore della Erre Emme che ha costruito il complesso Dico-Brico). Ed ecco gli ultimi sviluppi. L’Arpat ha appena fatto il punto in Regione: i veleni vanno verso Cecina, dove la speranza si concentra sulla capacità dei filtri dell’Asa di resistere al tossico assedio.

«Ormai è pane per Wwf e Striscia la notizia», tuonano i «No Trielina» da Poggio Gagliardo, stanchi di gridare che la questione non riguarda solo loro. Anche a Cecina, infatti, c’è poco da stare allegri. A chiarirlo al sindaco Benedetti al cospetto dell’assessore regionale all’ambiente Bramerini è stata l’Arpat di Livorno (che nel 2004 avviò le indagini sul disastro ambientale).

Il 22 marzo scorso, a Firenze, la dottoressa Baldini, davanti ai rappresentanti della Provincia di Livorno, dei Comuni di Cecina e di Montescudaio, di Asl e di Ait 5, ha illustrato le criticità dei pozzi cecinesi, mettendo alle strette Asa che si è aggrappata ai suoi «depuratori» — i filtri a carboni attivi — per tranquillizzare i presenti.

Ma Arpat ha ribadito l’urgenza della bonifica perché i solventi puntano a Cecina, nonostante le pompe di confinamento istallate dalla Regione a Poggio Gagliardo. Il problema è attuale: nel 2008-2009 un picco di Tce e Pce nell’acqua (pre-filtri) l’ha riportata ai valori da codice rosso del 2004. Nel 2010 il pozzo Ladronaia, il più critico, è passato da una media di 600 microgrammi di solventi per litro d’acqua a 300 (comunque 30 volte oltre i 10 ammessi dalla legge).

Nel 2011 poi, l’inquinamento è arrivato in modo massiccio, dritto nel pozzo di Poggio al Pruno, a 500 metri dall’epicentro del fattaccio. Conclusioni? Il progetto da 5milioni è davvero urgente anche per i cecinesi, che ora scoprono di contare sui filtri dell’Asa perché dai rubinetti non sgorghi trielina. Questa azienda a suo tempo ci ha già chiarito di lavorare alacremente alla loro sostituzione quando si saturano (ed è successo varie volte).Tanto che, a 8 anni esatti da quell’aprile 2004 in cui l’ex sindaco Pacini limitò l’uso dei pozzi in attesa di una soluzione definitiva, non ha mai mollato l’osso (né collaborato — a detta dei tecnici — a fornire i suoi dati). Per l’«assoluta» tranquillità dei cittadini.

Arianna Valentino