Livorno, 23 agosto 2010 - «Ciao, ci rivedremo in cielo»: sono le parole che il vescovo Alberto Ablondi aveva pronunciato al telefono rivolto al suo amico don Antonio Marini. Una premonizione, pochi giorni prima di morire, che si è avverata, dodici ore dopo, quando, intorno alla mezzanotte di sabato anche il canonico della cattedrale è spirato.

 

Due sacerdoti legati a doppio filo dalla grande passione per la chiesa e dalla morte. Ma anche dalla testimonianza che hanno portato, come due facce della stessa medaglia, nella città dei Quattro Mori. Era stato proprio il vescovo Ablondi ad ordinarlo sacerdote nel 1978. Docente allo Studio Teologico Interdiocesano di Camaiore, don Antonio aveva ricoperto numerosi incarichi — direttore dell’Ufficio per l’Ecumenismo e il Dialogo Interreligioso e membro del Collegio dei Consultori della diocesi e assistente spirituale dei Medici cattolici — prima di essere «promosso» monsignore.

 

«Grado — ricorda il vescovo Simone Giusti — che non ha mai rilevato. Ma che ricoprirà domani, martedi, alle 11 (domani, ndr) quando in Cattedrale si svolgerà la serimonia esequiale». Così, in una domenica afosa di metà agosto, i livornesi si sono divisi tra la cappella della Misericordia di via Verdi — dove si trova il feretro di monsignor Marini — e la cattedrale dove oggi si terranno i funerali del vescovo Ablondi. Ed è proprio ieri pomeriggio alla messa officiata dal vescovo Simone Giusti e dal vescovo di Pescia Giovanni De Vivo che i due sacerdoti sono stati ricordati. Monsignor Marini, uomo di grande cultura, acuto, intelligente, raffinato, penna graffiante tanto che, fa memoria il vescovo Giusti, «il bossolo inviato in busta chiusa alla Curia era rivolto a lui»; l’altro, monsignor Ablondi, un uomo speciale. E la sua particolarità è stata marcata anche nella morte da quelle premonizioni che solo pochi sanno avere.

 

«Un dono — dice monsignor Giusti — che solo chi sa ascoltare bene la voce di Dio riceve. Il vescovo Ablondi domenica scorsa stava bene, ma l’ultima telefonata al suo amico don Antonio e il saluto ai suoi alberi erano un segnale. Stava preparando la valigia perché il Signore lo aveva chiamato». Un uomo speciale, il «parroco di Livorno», per una città che oggi si prepara ad accompagnarlo nel suo ultimo viaggio.

 

Ma anche ieri la cattedrale era gremita, nonostante il gran caldo. La fila davanti alla bara coperta da una teca trasparente è stata incessante ed erano in molti a portare un fiore come piccolo dono accanto a quegli anturium rossi e bianchi che contrastavano con il viola delle vesti sacerdotali. Perché il legame tra Ablondi e la sua città è stato forte anche nella morte; il grande trapasso che lui ha voluto guardare tramite gli occhi dei livornesi tanto che il suo volto non è rivolto all’altare ma verso la sua gente.