{{IMG_SX}}Livorno, 30 gennaio 2009 - Come una malattia, che è peggiorata negli ultimi anni e ha intacccato il nostro sistema economico e sociale. E’ il 'mal di merito'. L’Italia è ultima, tra i Paesi occidentali, in quanto a meritocrazia. La diagnosi è di Roger Abravanel, l’ex senior director di McKinsey, la multinazionale della consulenza dove ha lavorato fino al 2006, e advisor di società e fondi d’investimento, nonché collaboratore di ministri come la Gelmini. L’ingegnere ha raccolto la sua esperienza nel libro Meritocrazia, 4 proposte concrete per valorizzare il talento e rendere il nostro paese più ricco e più giusto, un best seller da 30mila copie vendute. Il ricavato va interamente in beneficenza. Era lui ieri l’ospite di Confindustria Livorno in un convegno sul rapporto tra economia e territorio, lavoro, giustizia e produttività. Un dibattito, moderato dal direttore de La Nazione, Giuseppe Mascambruno, per «rilanciare competenza e qualità», a cui hanno partecipato il presidente degli industriali labronici, Andrea Gemignani, quello della Provincia, Giorgio Kutufà, il sindaco Alessandro Cosimi, l’assessore regionale Gianfranco Simoncini, la presidente della Consulta provinciale degli studenti, Marina Petri, e lo stesso autore.
 

Ingegner Abravanel, qual è il Paese più virtuoso in materia di meritocrazia? "E’ stato un laburista inglese a inventare il termine nel 1954. Nel paese in cui è riconosciuta, le persone eccellenti possono salire nella scala sociale indipendentemente dalla loro provenienza. Ci sono due fattori: l’ineguaglianza e la mobilità sociale. Negli Usa, la seconda è molto bassa, ma la mancanza di uguaglianza è compensata dall’elevata mobilità".
Il risultato? "L’America in media non è meglio dell’Italia, ma dà l’opportunità ad un signore come Obama di diventare il suo presidente. La Svezia è al top".  E l’Italia? "Ha entrambi i difetti: è la peggiore in Occidente".
Il problema più grande? "Troppo forti le lobby familiari, mentre lo Stato è debole. Un fatto storico".
 

 

Lei parla anche di semi di merito, però. Un esempio di talento italiano? "Ne ho trovati tanti girando per università e comuni. Ma Mario Barbuto, presidente del Tribunale di Torino, è uno dei miei miti. Nel 2000 ha scelto di ridurre i tempi della giustizia civile. Ha radunato 50 giovani magistrati e si è messo a capo di un progetto. Ora a Torino il 90% delle cause si conclude entro tre anni". E all’estero? "Quando era il primo ministro inglese, Blair chiamò Michael Barber per migliorare la qualità dei servizi e ridurre gli sprechi nel settore pubblico. Proprio oggi (ieri, ndr) ho saputo che Obama l’ha scelto per risollevare il settore della scuola". Le sue proposte concrete per valorizzare il talento? "Consegnare risultati e non solo promesse ai cittadini nominando un Barber italiano, fare test nelle scuole per capire il livello di preparazione degli studenti e puntare alla qualità degli insegnanti, creare un’autorità per liberalizzare i servizi locali, inserire almeno due donne in ogni cda di aziende quotate in Borsa". La categoria con meno campioni del merito? "Quella dei giornalisti e della magistratura". Più discriminate le donne, i giovani o i bravi? "Tutti e tre".