La Spezia, 29 settembre 2011 - IRREMOVIBILE sulla decisione di andare a una revisione delle convenzioni con il Parco, Franca Cantrigliani, la «pasionaria» di Riomaggiore, lancia un salvagente ai ragazzi delle cooperative. Quei ragazzi che, alla luce della sua decisione di non corrispondere alla richiesta avanzata dal commissario Aldo Cosentino — aderire al sistema Parco per i prossimi cinque anni — ora temono di veder naufragare le loro garanzie occupazionali. «Ciò che mi sta a cuore — sottolinea Cantrigliani, riferendosi indirettamente ai 9 milioni di disavanzo accumulati dall’ente municipale — è più di ogni altra cosa il ‘sistema Comune’. Ecco perché non rispondo al commissario. D’altronde, come sarebbe possibile mettere a disposizione i propri beni quando si è lì per annegare?».

 

Il sindaco di Riomaggiore esclude al contempo ogni ipotesi di alienazione. E la mentalità che emerge sembra essere quella della resa. «Mi trovo a dover riflettere — prosegue — sulle strutture che il Comune ha concesso al Parco senza ottenerne alcun ritorno: per questo motivo potrei subire un danno erariale. Insomma, non considero la ‘vendita’ ma la ‘rendita’ dei beni. E prima di tutto l’autonomia locale dell’ente che amministro: è inaccettabile che un Parco non rispetti questo principio». E sulle convenzioni esistenti, il sindaco non nasconde la sua determinazione: «Non mi interessa deludere i ragazzi delle cooperative, preferisco procedere con un progetto comune di confronto per trovare, insieme a loro, soluzioni concrete sul fronte occupazionale».
 

 

INTANTO, però, l’eventualità di una ‘ritirata’ di Riomaggiore contribuisce a rispolverare antichi progetti di allargamento dei confini del Parco. E se a Portovenere l’occasione non sembra destare particolare interesse — in Comune tutti osservano le vicende dei ‘vicini di casa’ senza patemi d’animo, della serie «Entrare nel Parco delle Cinque Terre? No, grazie. Abbiamo già il nostro» — a Levanto i tumulti d’Oltremesco hanno riacceso il sogno di un’integrazione territoriale a lungo auspicata e in parte negata. L’assessore comunale con delega ai rapporti con il Parco, Luca Del Bello, si mostra possibilista: «Sicuramente discuteremo la posizione espressa da Franca Cantrigliani nel corso della prossima riunione della comunità del Parco, in programma per l’inizio del mese di ottobre. Non credo che l’allargamento dei confini sia argomento all’ordine del giorno, ma Levanto, se così fosse, sicuramente non si lascerà cogliere impreparata. Quest’anno abbiamo vinto una grossa partita, ottenendo l’apertura di un ufficio del Parco sul territorio levantese.

 

Per il bene di tutti speriamo in un ripensamento di Riomaggiore. Qualsiasi altro scenario, compresa l’ipotesi di un allargamento dei confini del Parco, dovrà essere discussa con gli altri membri della Comunità e con i levantesi». Diverso il tono dell’ex sindaco, nonché attuale presidente provinciale del Pd, Marcello Schiaffino: «Mi astengo dal fare qualsiasi considerazione di tipo politico o strategico sulla posizione espressa da Franca Cantrigliani. Credo tuttavia che le recenti vicende abbiano contribuito a dimostrare, se mai ce ne fosse stato bisogno, che sposare orizzonti ristretti non aiuta a superare eventuali momenti di difficoltà». La posizione di Schiaffino è nota.

 

Prima che il Parco nazionale delle Cinque Terre diventasse una realtà istituzionalmente riconosciuta l’allora sindaco di Levanto, sostenuto dalla comunità locale e dal consiglio comunale, fece tutto quanto era in suo potere per convincere gli uffici ministeriali a considerare il Mesco come un «unicum» territoriale e culturale. In quell’occasione venne anche prodotto a sostegno di questa tesi uno studio redatto da un professore del Politecnico di Milano. Se l’idea fosse passata avrebbe comportato l’inclusione nell’area costiera di tutela delle pendici levantesi del promontorio fino al confine con il centro abitato. La storia è stata un’altra. Ma oggi Schiaffino torna a riproporre la bontà di quel progetto.

 

«Io ero e resto convinto — sottolinea l’ex sindaco di Levanto — che l’area marina protetta dovrebbe essere estesa fino a includere le rocce rosse di Framura, mentre i confini terrestri del Parco dovrebbero abbracciare tutto il promontorio del Mesco. Non è una questione di convenienza ma una sfida di identità culturale, paesaggistica ed economica di un vasto comprensorio nei fatti già perfettamente integrato».