Dalla Spezia, il Dark Ambient di Neraterrae alla conquista del mondo

Alessio Antoni, produttore spezzino conosciuto come Neraterrae, debutta con una potente ed evocativa opera prima nel segno del Dark Ambient

Alessio Antoni, il produttore noto come Neraterrae

Alessio Antoni, il produttore noto come Neraterrae

La Spezia, 5 giugno 2019 - Un disco costituito da sette canzoni che rappresentano qualcosa in più, data la loro potenza evocativa. Pochi brani, ma sufficienti a rendere le atmosfere e il fil rouge… dalle tinte noir che permeano un’opera prima complessa. Niente è lasciato al caso in “The Substance of Perception”, album di debutto di Neraterrae, nome d’arte del produttore spezzino Alessio Antoni. Pubblicato dall’etichetta canadese con base a Berlino Cyclic Law, impreziosito dalla collaborazione di un team nutrito di artisti internazionali ed impreziosito dall’artwork del francese Jean-Baptiste "Nihil" Mouton e dalla norvegese Daria Endresen, è ora disponibile sia in formato digitale che su Cd in edizione limitata.  

Perché si è avvicinato a questo genere musicale? Lo può presentare?

Il Dark Ambient è un tipo di musica che amo per via della sconfinata possibilità espressiva che concede: lo reputo quanto di più simile ci possa essere ad un libro. È per lo più musica strumentale, evocativa, caratterizzata da atmosfere oscure e sonorità dalle connotazioni malinconiche od orrorifiche, apocalittiche o ritualistiche. Deriva dalla musica elettronica ed è uno stile della musica d’ambiente, storicamente legato al genere post-industrial, tant’è che negli anni Ottanta si faceva riferimento ad esso come Ambient Industrial. Affonda le radici negli anni Settanta, durante i quali ne furono pionieri i Tangerine Dream, per fare un esempio, e con l’avvento della scena industriale nel decennio successivo le sperimentazioni di artisti come Throbbing Gristle hanno gettato le basi per quel che da lì ai successivi anni sarebbe stata l’incarnazione del Dark Ambient come lo conosciamo adesso, grazie a musicisti quali Lustmord, Deutsch Nepal, Coph Nia, Thomas Köner ed altri. Il prefisso “dark” e la definitiva consacrazione a Dark Ambient sono emersi solo nei primi anni Novanta, quando le prime etichette discografiche specializzate lo battezzarono così per la necessità di descrivere un genere che non era solo Ambient, non era più Ambient Industrial, ma qualcosa di diverso. Per la realizzazione del suo lavoro, ha collaborato con diversi artisti internazionali: come sono nate queste partnership e qual è il valore aggiunto che assicurano alla sua opera? Le collaborazioni sono nate in modo spontaneo: arrivato ad avere le canzoni ormai ultimate, decisi di inoltrarne qualcuna per avere un parere ad alcuni tra i musicisti che più stimo, fra quelli appartenenti a questo panorama musicale. La cosa fu ben accolta ed apprezzata: dopo uno scambio di pareri, l’interesse sollevato si trasformò in collaborazione. Il valore aggiunto deriva dalle sfumature di colore che le singole personalità hanno portato ai brani; è stato stimolante vedere come lo stessa traccia potesse essere letta in un’ottica differente e/o come, collaborando, si potesse approcciare la manipolazione del suono a quattro mani anziché a due. Ciò che più mi gratifica è l’oggettiva positività dei feedback ricevuti, in quanto, all’epoca, non conoscevo di persona quei musicisti. Mi sembra doveroso citarli per diritto di cronaca: Alexey Tegin, leader dei Phurpa (Russia), Flowers For Bodysnatchers (Australia), Infinexhuma (USA), New Risen Throne (Italia), Northaunt (Norvegia), Taphephobia (Norvegia), Treha Sektori (Francia), Ugasanie (Bielorussia), Xerxes The Dark (Iran). Sono le sfumature, le atmosfere al centro di The Substance of Perception: ci parli della sua potenza evocativa Nello specifico, con “The Substance of Perception” ho voluto raccontare sette storie attraverso sette canzoni; dico storie, ma potrebbero essere immagini, racconti, scene, visioni. Alla base del tutto c’è la volontà di dare una sensazione quasi tangibile della musica, dare sostanza alla percezione e viceversa. Durante il trascorrere dell’album, si avvicendano differenti scenari e stati d’animo; quel che personalmente avverto nel disco sono la trascendenza dal visibile, l’amarezza del rimpianto, l’incredulità dinnanzi all’inesplicabile, la presa di coscienza del proprio essere. Non vorrei raccontare troppo, perché penso che vada ascoltato senza avere informazioni specifiche su di esso. Ogni traccia, come una storia, può essere letta partendo dal titolo, che ne racchiude la chiave, ma questo potrebbe anche essere fatto ad “occhi chiusi”, lasciandosi andare all’immaginazione durante l’ascolto; è soggettivo. È un genere musicale che richiede attenzione, esattamente come un buon libro; può dare moltissimo se in partenza gli si dà qualcosa. Il suo disco sta avendo riscontri a livello internazionale: un genere di certo non mainstream, ma che ha estimatori in tanti paesi Sono estremamente contento del feedback che sto ricevendo: l’album è stato molto ben accolto dalla stampa internazionale, e questo mi rende orgoglioso. Vero, non è un genere mainstream, e anche se c’è una notevole tradizione europea, la sua forza sta pure in questo. Ad oggi, grazie anche al fatto che “The Substance of Perception” si trovi in digitale su tutti i servizi di streaming, fa sì che il bacino di utenza sia mondiale, potenzialmente, e in effetti ho avuto il piacere di constatarlo confrontandomi con persone entusiaste del disco che mi hanno scritto ben da fuori i confini italiani ed europei (Stati Uniti, Giappone, Russia, Canada, Australia, Cina). Molto curate e azzeccate anche le fotografie, andando oltre alla musica: un prodotto che si presenta all'insegna della massima cura e professionalità L’artwork è parte fondamentale del mio approccio alla musica, è parte integrante del concetto alla base del disco e può essere visto ed interpretato come incipit dell’ascolto. La grafica di “The Substance of Perception” è stata minuziosamente curata da due maestri della fotografia, fotomanipolazione e digital art, che sono riusciti a dare forma alla mia visione, parlo di Jean-Baptiste “Nihil” Mouton (Francia) e Daria Endresen (Danimarca), le cui opere sono state esposte a Berlino, Catania, Dublino, Gent, Göteborg, Londra, Manitowoc, Orléans, Oslo, Parigi, Richmond, Santa Fe, Seattle, Sydney, Stoccolma… Non potrei esserne più soddisfatto. Perché ha scelto la strada della musica e quali sono i suoi trascorsi? Furono i miei genitori a farmi avvicinare alla musica (e all’arte in generale): ricevetti il mio primo strumento musicale a 4/5 anni, era una batteria; successivamente mi avvicinai al pianoforte, che studiai per circa un lustro, e, dopo una parentesi chitarristica, tornai alla batteria, che non ho più lasciato da quasi vent’anni a questa parte e che continuo a suonare nel il mio trio acustico Alma Flua. Faccio parte di quella generazione cha ha vissuto appieno il passaggio di testimone dall’analogico al digitale, anche in ambito musicale e, nel mio caso, gli studi musicali di base classica con un determinato imprinting associati ai miei gusti personali, alla ricerca e all’immersione nel “nuovo” approccio di produzione musicale sono i fattori che determinano quel che sono e che sto facendo. Chiara Tenca