Umbertino, dove si respira odore di popolo E i bambini giocano coi clochard in strada

Laboratorio di integrazione ma anche teatro di non facili convivenze. "Qua però nessuno si permetterebbe di rubare le statuine del presepe"

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di Chiara Tenca

Metà pomeriggio, il cielo è a pecorelle e sotto il sole che filtra, i due simboli di piazza Brin svettano: il campanile grigio della chiesa di Nostra Signora della Salute ha appena battuto quattro rintocchi, la fontana del Basaldella vaporizza i suoi schizzi, creando una nuvola impalpabile. Sotto e intorno a questi perni ormai iconici, un’umanità composita. Mamme, bambini, barboni, giostrai, sbandati. Italiani e stranieri. Belli e brutti. Facce fresche e altre, tante, rovinate dal vizio. Fanno brulicare il cuore del quartiere Umbertino, croce e delizia della città, in un equilibrio che dopo lunghi anni di lotte contro criminalità e microcriminalità sembra faticosamente raggiunto.

Non che tutti i problemi siano risolti. I bivacchi restano, spuntano come funghi bottiglie di alcolici nascoste in sacchetti di carta, come a celare il vizio all’aria aperta, e basta spostarsi di una manciata di strade per vedere quanto continui a picchiare la spina dolente dello spaccio: l’angolo fra via Milano e corso Cavour è un suq dello stupefacente. Eppure, in piazza Brin, laboratorio di integrazione e di umanità, oggi non ci si sente in pericolo. Sembrano essere finalmente lontani i tempi più bui, come testimonia un ex abitante. "Quando c’erano gli albanesi e i marocchini, volavano i coltelli. Non potevamo più uscire di sera, c’era da aver paura". Comunità che oggi si sono inserite nella società, aiutate dalle nuove generazioni che crescono e si mescolano inscindibilmente con le nostre. Oggi quella sembra, però, un’epoca archiviata. I nuovi ‘conquistadores’ sono i dominicani: qui con uomini, donne e bambini e la loro vitalità che a volte va fuori dalle regole. Colorano e riempiono di musica e musicalità questa piazza, ma di evitare gli assembramenti pare che se ne preoccupino poco. La municipale vigila, staziona e poi riparte, ma la sensazione, nonostante la presenza di diverse facce non certo rassicuranti, anche sotto i portici – ancora sporchi e maltenuti, a differenza della magnificenza dei palazzi che si affacciano sulla piazza – non è quella del pericolo. Tre ragazzine si siedono a scherzare ai bordi di un’aiuola vicino al busto di Caporaso – scultore di casa – dedicato a Benedetto Brin, demiurgo della Regia Marina e della sua rinascita. Chissà che ne penserebbe dell’Umbertino, nato con l’Arsenale, e della sua evoluzione. Ai bordi della fontana, la scena che non ti aspetti: alcuni bambini giocano insieme a un gruppo di clochard. Senza paura, con la massima spontaneità, senza barriere come soltanto i piccoli possono fare, privi dei dettami della costruzione sociale.

È questo piccolo sipario, forse, l’essenza della piazza Brin di oggi. Dove i problemi ci sono, ma i confini si riescono ad abbattere. "Questi ragazzi ormai, sono dei nostri – spiega un residente e attivista dei comitati legati alla piazza, riferendosi ai senzatetto –: ci hanno sempre aiutati durante gli eventi a mettere a posto". E chiede si abbattano gli stereotipi. "Si parla tanto male del nostro quartiere, ma quando abbiamo fatto il presepe qui, tutto è stato conservato alla perfezione, solo per far un esempio. Andate a vedere cosa è successo, invece, nelle zone ‘bene’: le statuine sono sparite, quando non sono state vandalizzate. Non ci sto a sentirlo definire un covo di delinquenti. Non è questo. Dispiace solo che la politica non capisca: c’è stato chi ha chiesto come mai venissero dati dal Comune tanti patrocini alle iniziative organizzate all’Umbertino. Ma a noi non interessano i giochi di palazzo, solo rivitalizzare e cementare". E ci fa notare che se qualcuno, soprattutto quelli che si rivolgono alla vicina struttura assistenziale, getta i rifiuti nelle aiuole, la maggioranza riga dritto e contribuisce al mantenimento della bellezza delle piazza. Nelle vie attigue si respira odore di popolo. C’è ancora qualche enclave italiana, ma prevale il melting pot, che fa capolino tanto nelle finestre quanto nelle strade, dove la gente non va di corsa, ma ha ancora il tempo di chiacchierare. Ma se c’è chi bivacca, chi parlotta e chi beve, a restare negli occhi sono i bambini dell’Umbertino: quelli che escono dall’asilo, biondi, quelli che giocano sul sagrato della chiesa, scuri, quelli che affollano le giostre, arrivate come nel giorno di festa, di ogni carnagione. D’altronde, il futuro del quartiere è saldo nelle loro mani.