Riaffiora il sacrificio della corazzata Roma

Medaglia ed encomio alla memoria consegnati alla figlia di una delle 1352 vittime del naufragio provocato dall’attacco aereo tedesco

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Quando, il 9 settembre del 1943, il papà morì nell’affondamento della corazzata Roma, lei aveva solo 2 anni. Ora Enrica Barni ne ha 76 e risiede a Seveso; ieri, alla Spezia, è riuscita a coronare il sogno inseguito per tanto tempo: ottenere una medaglia commemorativa della guerra ’40 - ’43 e un encomio solenne alla memoria del padre Carlo che - allora 22enne, motorista-fuochista sulla Roma - riposa sul fondo del mare, a 1000 metri di profondità, nel golfo dell’Asinara, dove il relitto era stato localizzato esattamente 9 anni fa, 66 anni dopo la tragedia che prese le mosse dalla partenza delle navi da battaglia della Regia Marina dall’Arsenale della Spezia per raggiungere la Maddalena, una manciata d’ore dopo la firma dell’armistizio con le forze, fino ad allora nemiche, angloamericane. Le consegne degli attestati sono avvenute nella sede della Capitaneria di porto ’investita’ del cerimoniale a seguito all’accoglimento dell’istanza della donna da parte dell’ufficio-onorificenze del Ministero della Difesa.

A fare gli onori di casa, il comandante Giovanni Stella, ad impreziosire l’evento, l’ammiraglio ispettore Gioia Passione, comandante del Cssn, delegato dal comandante di Marina Nord Giorgio Lazio e, lucidissimo, l’ultimo scampato vivente dei 622 superstiti della Roma, Gustavo Bellazzini, prossimo - il 29 settembre - al giro di boa dei 100 anni. Ha la stessa età che avrebbe avuto il padre di Enrica se fosse scampato al naufragio. L’incontro fra lei e Gustavo è stato di una tenerezza infinita. "Papà è sempre stato al tuo fianco..." le ha detto il reduce. "Lo so; grazie di essere qui. L’ho conosciuto attraverso le foto e le lettere che scriveva alla famiglia. Sembrava che se lo sentisse di non tornare più a casa...". L’8 settembre Carlo era in licenza nella sua abitazione. Avrebbe potuto restarci. Invece piombò alla Spezia; arrivò che la nave aveva già mollato gli ormeggi. "Fermò un motoscafo e chiese di essere trasportato a bordo; il suo grande senso del dovere resta per me una lezione" ha rievocato Enrica, commossa.

Nella sala mensa della Capitaneria – teatro anche della proiezione dei filmati d’epoca della Roma e delle immagini del suo ritrovamento ad opera dell’ingegner Guido Gay – è stata ritessuta la storia del sacrificio delle 1352 vittime della corazzata. "Fu tra i primi e più onerosi prezzi che la Marina italiana pagò per concorrere alla causa della libertà" ha detto Stella, in parallelo alla rievocazione dei fatti effettuata dal capitano di corvetta Manuela Crocco. Il cuore di Enrica e Gustavo, dei rispettivi figli che li hanno accompagnati, degli alti ufficiali della Marina e dei personale della Capitaneria presenta era, in quel momento, idealmente laggiù, sul fondo del mare, dove poggia il relitto-sacrario, bersaglio del micidiale attacco-aereo tedesco, con le bombe radiocomandante, nelle ore drammatiche e incerte che si sono inanellate dopo l’armistizio che aveva trasformato gli alleati in nemici. In Capitaneria, attraverso l’ammiraglio Gioia Passione, sono risuonate le parole dell’ammiraglio Bergamini, imbarcato sulla Roma in qualità di comandante dell’intera Forza Navale, prima della tragedia: "Ciò che conta nella storia dei popoli non sono i sogni e le speranze e le negazioni della realtà, ma la coscienza del dovere compiuto fino in fondo, costi quello che costi. Sottrarsi a questo dovere sarebbe facile, ma sarebbe gesto inglorioso e significherebbe fermare la nostra vita e quella dell’intera nazione e chiuderla in un cerchio senza riscatto, senza rinascita… Verrà il giorno in cui questa forza vivente della Marina sarà la pietra angolare sulla quale il popolo italiano potrà riedificare pazientemente la propria fortuna…". "Parole quanto mai attuali..." ha detto l’ammiraglio.

Corrado Ricci