Quanti soldi per riaprire la scuola di danza. E ora la batosta

Valeria Antonini racconta in prima persona i salti mortali fatti per non affondare. "Siamo stati traditi da chi ci ha chiesto collaborazione"

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Abbiamo lavorato nei mesi estivi come assetate nel deserto, con numeri ridicoli, ma felici. A fine febbraio quando abbiamo chiuso avevo 150 iscritti tesserati, il 29 maggio ne sono rientrati 38. Ma andiamo con odine, non vorrei dimenticarmi qualche passaggio in questa folle corsa a 100 all’ora contro un muro. Senza airbag. Nel periodo di chiusura gli operatori dello sport hanno percepito 600 euro mensili, cioè, a partire da maggio io ed i miei collaboratori abbiamo percepito il sussidio che ha più il sapore di un’elemosina, per i tre mesi di sospensione dell’attività. Basta. Cioè mi spiego, degli affitti, delle bollette, della spazzatura, della Siae, nessuno si è preoccupato. E ho fatto conto sul mio portafogli, sperando nella comprensione almeno del proprietario dei muri della mia palestra, che, seppur contrariato, mi ha concesso di pagare la metà del canone a fronte del suo credito di imposta del 100%. Dalle istituzioni, promesse di denaro a fondo perduto tradottesi in ridicoli stanziamenti di pochi milioni che hanno fatto ridere i polli e di cui non ho percepito un euro. Poi finalmente a maggio, la luce in fondo al tunnel, ma era solo un miraggio. Per poter riprendere a lavorare infatti, ancora prima di incassare e senza sapere quanto (facile fare un conto spicciolo di 150 tesserati rispetto a 38) ci hanno chiesto di adeguarci alle linee guida redatte dal Comitato tecnico scientifico. Per cui ancora una volta, abbiamo messo mano al portafogli e abbiamo tirato fuori 1500 euro per sanificazioni, segnaletiche verticali, orizzontali, dispositivi di protezione individuale per me e tutti i miei collaboratori, corsi di aggiornamento sulle disposizioni criptiche, gel disinfettante, saponi con etichette specifiche e presidio medico, termoscanner, lampade Uv, macchinari all’ozono e mille altre diavolerie.

Ho accettato tutto compresa la responsabilità penale di causare contagi. Naso tappato, occhi bendati e via. Abbiamo aperto perché la danza non si deve fermare: stoiche come Nettuno tra le onde, siamo ripartite. Un gesto dovuto alle famiglie che ci hanno supportato e sopportato per tutti i lunghi mesi di solitudine casalinga in cui noi per loro eravamo lo svago e loro per noi la dignità del lavoro che amiamo. Tuttavia durante l’estate ci siamo rese conto che nulla sarebbe stato come prima, che avremmo avuto di fronte un anno difficile, che avremmo lavorato il doppio per incassare lo stesso importo, che metro alla mano, avremmo dovuto trovare una soluzione per far stare in classe tutti gli allievi senza lasciare nessuno indietro. E così con rinnovato entusiasmo abbiamo preso in affitto una stanza in più, abbiamo promosso l’attività come luogo sicuro, mettendoci la faccia e il cuore. E timidamente le persone sono rientrate, alla spicciolata, esauste di una non vita, della paura. Cautamente si sono affacciate alla porta per controllare se fosse sicuro mandare i loro bambini a danza. Si sono fidati di noi, hanno corso il rischio, hanno sfidato il virus e pur di vedere i loro figli sorridere abbiamo riacceso la musica e per un momento è stato perfetto. Povere ma felici. Oggi con un dardo avvelenato in un’imboscata, sono caduta. Tradita da chi mi ha chiesto collaborazione. A terra, tramortita, ho giurato a me stessa che la dignità la venderò a caro prezzo. Oggi inizia una nuova era.

Valeria Antonini