Spazi angusti, rumori e zero privacy. Sos dalla sala di aspetto di oncologia

Porte antipanico che sbattono, viavai nel corridoio e pazienti chiamati per nome

La nostra cronista all’ingresso del reparto di oncologia dell’ospedale Sant’Andrea della Spezia

La nostra cronista all’ingresso del reparto di oncologia dell’ospedale Sant’Andrea della Spezia

La Spezia, 13 settembre 2018 - Una piccola stanza, poche sedie e molta luce, forse troppa se si considera che è pieno giorno e l’impianto di illuminazione è acceso. Una porta che si apre continuamente: è antipanico, ogni volta che si chiude fa sobbalzare i pazienti che attendono il loro turno per entrare nel reparto. E poi, un viavai di persone, nelle vicinanze di chi, malato e forse depresso, magari desidera stare qualche minuto in santa pace prima di sottoporsi a cure invasive, devastanti per il fisico e l’anima. Si presenta così la sala d’attesa del day hospital oncologico, al primo piano del padiglione 6 dell’ospedale Sant’Andrea della Spezia, servizio comprensivo di 16 postazioni, per una media di presa in carico giornaliera di 35 pazienti.

Un dh trasferito alla Spezia a seguito della demolizione del Felettino, e i cui lavori di riqualificazione costarono 540 mila euro, comprensivi della realizzazione della stanza ‘Ufa’, adibita al confezionamento delle terapie chemioterapiche. La sala d’attesa, dicevamo, seppure pulita dal punto di vista igienico, si presenta parecchio rumorosa, essendo nel corridoio di snodo tra due corsie di reparti. Rumorosità sottolineata anche da un nostro lettore, che nei giorni scorsi ha inviato alla redazione una segnalazione sulla situazione che ogni giorno, suo malgrado, è costretto a vivere in qualità di paziente oncologico.

«I pazienti, di nome e di fatto, aspettano anche ore – ha scritto l’anonimo lettore – che arrivi il proprio turno: non esiste la calma, lo spazio e quindi il rispetto che merita una persona particolarmente fragile, sia fisicamente sia moralmente. Tutto è caotico e rumoroso, persone che passano, che parlano ad alta voce e suonerie che squillano, non esiste l’accoglienza né la comprensione che quella non è una sala d’aspetto come un’altra». Chi apre quella porta non ha certo il sorriso sulle labbra. Ha bisogno del suo spazio, di tranquillità. E, soprattutto, di riservatezza. Se da un lato la professionalità di medici e infermieri è innegabile – a detta dei più – dall’altro proprio la parola ‘riservatezza’, ossia la sventolata ‘privacy’ non sembra essere garantita nel reparto. Sono molti i pazienti che si lamentano infatti per il fatto di essere chiamati con il proprio cognome, dal personale infermieristico, per accedere alle terapie chemioterapiche: circostanza questa che, in barba alla normativa sulla protezione dei dati identificativi, soprattutto se hanno riflesso sui dati di salute – questi considerati sensibili e come tale maggiormente tutelati –, sembra dare fastidio a molte persone, anche se altre giustificano questa ‘chiamata’ con il rapporto confidenziale che si instaura tra chi lavora in ospedale e chi ciclicamente è costretto ad accedervi. Già nel marzo 2016 i sindacati spezzini intervennero per denunciare come la sala d’attesa fosse inadeguata, angusta, affollata e irrispettosa della dignità del paziente e della sua privacy. Oggi, questa denuncia, si fa nuovamente largo tra i pazienti ‘non più pazienti’.

L.P.