Notte brava. E pochi indossano la mascherina

Nei locali tavoli e sedie alla distanza di sicurezza. Ma le strade sono prese d’assalto dai teenager. E le precauzioni passano in cavalleria

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Dentro e fuori dai locali. Due mondi paralleli. Diversi come il giorno e la notte. Davanti al bancone e ai tavoli, la traiettoria senza scampo segnata dalle regole, con tutte le ‘rogne’ che il rispetto dei vincoli porta con sé. All’aperto, il caos: compagnia, spensieratezza, nessuna voglia di torturarsi con l’assillo di domani. La movida spezzina ha due facce e nella frattura che le divide si consumano dubbi, ansie e anche recriminazioni. Quelle di chi magari tra sé si domanda il senso di tanti sacrifici – costi esorbitanti per sanificare la propria attività, pazienti code di fronte all’ingresso del supermercato, dolorosa rinuncia a margini di guadagno maggiori in nome del distanziamento sociale - quando ad altri basta una serata da ’liberi tutti’ per esporre a inutili rischi loro stessi e chi li circonda.

Centro storico. Sabato notte. Pochi minuti dopo l’una. In corso Cavour e in via Prione tutto sommato c’è poca gente. Sono ragazzi. Camminano a gruppetti sparuti. Ridono. Scherzano. Portano diligentemente la mascherina. Anche i pub e i bar aperti non sono affollati. I tavoli sono sistemati alla giusta distanza. Le sedie pure. E i camerieri faticano un po’ più del solito per raccogliere la comanda. In parte perché il rispetto della distanza di sicurezza impone di alzare la voce per farsi capire meglio. E in parte perché diversi locali, alla sanificazione continua dei menu cartacei, hanno preferito l’applicazione sul tavolo di un tassello plastificato con il Qr code. Solo che sfogliare il listino digitale è, anche per i clienti più tecnologici, tutto fuorché immediato. Accanto al bicchiere della birra, qua e là spunta una mascherina.

La scena cambia completamente quando si raggiunge a piedi il vero e proprio triangolo della movida: via Mazzolani, via del Prione e via Calatafimi. E’ li che la voglia d’estate e di bevute all’aria aperta prende il sopravvento su ogni istinto di autoprotezione. E il paesaggio urbano cambia faccia. C’è pieno di ragazzi, quasi tutti giovanissimi. Sono tanti che per spostarsi da una parte all’altra della strada tocca fermarsi e aspettare che la calca si decongestioni. Parlano a pochi centimetri l’uno dall’altro. Alcuni, un’esigua minoranza, indossano regolarmente la mascherina. I più la tengono a portata di mano: stropicciata nella tasca dei jeans, o appesa al collo, o anche – è la moda del momento tra le teenager – allacciata al polso. C’è musica. Sembra una festa. Una serata di tarda primavera come tutte le altre, quelle dell’era pre-Covid. Nessuno sembra aver voglia di pensare ai sacrifici fatti per settimane, mesi. Si beve. Si chiacchiera. Ci si scambiano bicchieri e sigarette già accese.

Tra i ragazzi della notte, ci sono anche le forze dell’ordine. Tanti uomini e donne. Alcuni sono in borghese, i più indossano la divisa. Poliziotti, vigili urbani, finanzieri, carabinieri. Sono lì dalla tarda serata. Hanno diviso la strada con i volontari della Protezione civile e della Croce rossa, coinvolti nella macchina della sicurezza per sensibilizzare i giovani sulle precauzioni da adottare per difendersi. Per loro, agenti e militari, la mascherina è d’ordinanza. Come la pazienza. E ne serve davvero tanta per decidere da che parte iniziare a gestire una situazione che rischia di scappare dalle mani. Come sabbia che passa tra le dita.