Le case operaie e l’Arsenale Ecco come nacque il ‘mito’

Architetto, operatore turistico e blogger, Massalongo ci fa da cicerone "Non ci vai per trovare l’estetica, ma per scoprire l’anima profonda della città"

Andrea Massalongo

Andrea Massalongo

Era il 1861 quando in città, per volere dello Stato, iniziarono i lavori del nuovo Arsenale Militare, e con esso la storia della Spezia moderna. In quell’anno all’interno di quello che era ancora un piccolo borgo si contavano circa 11mila abitanti. Con la costruzione dell’Arsenale cambiò tutto. Soltanto 20 anni dopo, la popolazione presente aumentò di ben 20mila unità: fu un processo di concentrazione umana estremo e in continua ascesa. Alla Spezia arrivarono genti da ogni parte d’Italia attirate dal lavoro e dalla prospettiva illusoria di una condizione di vita migliore. Ma inizialmente non fu così: la scarsità dei servizi, soprattutto igienici, delle infrastrutture e degli alloggi divenne ben presto insostenibile e le condizioni dal lato economico furono diverse da quelle immaginate.

I nuovi arrivati risiedevano in gran parte nella zona del Torretto, in case malsane e fatiscenti, in fondi di un’unica stanza, in malsane soffitte e, come spesso accade, la logica speculativa del mercato unita alla lentezza dell’apparato statale nell’intervenire non migliorò certo questa storia, come del resto tante altre, le più. Ci volle addirittura il colera per smuovere le acque, ormai torbide oltre ogni limite. E siamo al 1885, ben 24 anni dopo l’inizio del problema. Il 10 gennaio di quello stesso anno fu stipulata una ‘Convenzione tra il ministero della Marina e il Municipio della Spezia per la costruzione di case per gli operai al servizio della Regia Marina’ la quale sancì la nascita del Quartiere operaio Umberto I, uno degli esempi più autorevoli per dimensioni e caratteristiche nel panorama italiano circa l’edilizia popolare. Il 20 marzo del 1886 iniziarono i lavori per la sua realizzazione: quattro anni dopo, la sua ultimazione. Non fu un grande affare per il Municipio, il quale dovette far fronte a spese ben più consistenti rispetto alle previsioni e, in generale anche per quel nucleo di cittadini originari che videro nel giro di pochi decenni cambiare le sorti della propria città: da luogo con vocazione turistica, solo oggi dopo più di un secolo parzialmente ritrovata, a sede militare di uno Stato quantomeno ingombrante. Ma questa è un’altra storia. Il nostro quartiere Umbertino, almeno in grande parte risolvette il problema sociale, ed è questo che conta in questa storia: 992 famiglie di operai trovarono alloggio all’interno di un contesto moderno, razionale, salubre e umano. Contrariamente al solito, questo racconto non vuole analizzare o descrivere quello che oggi un turista, potrebbe osservare al suo interno: non ci troveremo davanti a un’opera esteticamente mirabile, piuttosto a un insieme di caseggiati uniformi e disadorni, quasi monotoni, interrotti soltanto da alcune emergenze architettoniche come la piazza centrale per noi spezzini ‘Ciassa Brin’ - contornata da alcuni palazzi e contraddistinta dalla mirabile fontana cubista.

Ma non è questo il punto: non vai al Quartiere Umbertino per trovare la bellezza esteriore, l’estetica o la forma, ci vai per cercare la sua anima, ci vai per capire come un borgo di 11mila anime sia diventato una città e come esso stesso ne sia divenuto il suo centro, ci vai perché La Spezia senza il suo Quartiere Umbertino oggi non sarebbe la stessa.

Andrea Massalongo

Architetto e blogger