Lascia la figlia all'altare per andare al Picco

Il mitico Franco Capozza: "Ho perso solo due partite in casa, pur di vedere lo Spezia sono ’scappato’ dal matrimonio della primogenita"

Franco Capozza

Franco Capozza

La Spezia, 20 febbraio 2020 -  Franco Capozza è lo Spezia. Il mitico ‘Franchino’ è un’icona della tifoseria aquilotta, un innamorato folle dei colori bianchi, mai traditi, cuciti sul cuore. E’ colui che più di tutti può far capire a un foresto il significato dello Spezia per noi spezzini, un uomo che è l’emblema dell’amore visceale che la gente del territorio lunigianese ha per i simboli ultracentenari dello Spezia.  

Capozza, com’è nato il suo grande amore per le Aquile? "All’età di dieci anni mio padre Emidio mi portò al ‘Picco’, fu lui a farmi appassionare alle meravigliose maglie bianche. La prima partita che vidi fu Asti-Spezia nel 1966, nei bianchi ci giocava Mario Castellazzi. Ricordo che prima della partita i tifosi locali mandarono in campo, come rito propiziatorio, un galletto bianco con la cresta rossa simbolo dei colori sociali dell’Asti. Da lì mi appassionai vedendo le partite dalla tribuna con mio padre fino a 18 anni. Poi, appena presa la patente, ho cominciato a fare le prime trasferte e mi sono spostato in gradinata. Proprio in quel muretto dei distinti sono nati i primi tifosi organizzati dello Spezia, poi sbocciati in Ultras Spezia".  

Si narra che ha ‘bruciato’ due macchine per lo Spezia? "Ho consumato i motori di una Mercedes e di una Giulietta al seguito delle Aquile. La trasferta più lunga che ho fatto in macchina è stata a Vasto, senza dimenticare Acireale, Vittoria, Sorso, Nuoro e Sassari. Non dimenticherò mai la ‘doppietta’ esterna consecutiva a Teramo e Giulianova con i pullman partiti da via Chiodo alle 4 del mattino".  

Lo Spezia cos’è per lei? "E’ qualcosa che mi sento dentro e che mi rende orgoglioso di essere nato in questa città che amo profondamente. Vivo a Tonfano, ma ogni volta che vengo per vedere la partita questo innamoramento si alimenta".  

Quante partite ha perso delle Aquile? "Al ‘Picco’, dal 1966, solo due partite: il giorno del mio matrimonio e in occasione di una gita che avevo programmato a Parigi. Successivamente, pur di assistere alla gara Spezia-Sangiovannese in Serie C1 scappai dalla chiesa durante il matrimonio di mia figlia Monica per poi tornare al ristorante per la cena dopo il match vinto dagli Aquilotti".  

Il suo rapporto con gli arbitri?

"Ho sempre avuto un rapporto conflittuale con loro. Alcuni di loro, una ventina di anni fa, li ho contattati telefonicamente per chiedere spiegazioni sul loro operato".  

Lei è stato anche presidente del mitico Gruppo Elegante. "Per essere più uniti in gradinata creammo questo gruppo di cui mi onoro essere stato presidente. Tanti gli episodi goliardici, tra cui mi piace ricordare alcuni striscioni ironici nei riguardi delle squadre avversarie".  

Ha pianto per lo Spezia? "Più di una volta, l’ultima delle quali a Pisa al gol di Ragusa del 2 a 1. Ma anche quando fummo promossi in Serie B a Padova".  

La gioia e il dolore più grandi?

"La sofferenza maggiore fu il fallimento del 2008, la felicità più intensa deve ancora Arrivare..."  

Crede nel sogno? "Sì, perché non vedo squadre che in B giocano meglio dello Spezia".  

L’Aquilotto preferito? "Ne cito due: Capradossi e Matteo Ricci".