La sporca guerra alla movida e la mansarda del commissario

Una storia inedita dedicata a Sensi e firmata da Susanna Raule per i lettori de La Nazione.

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Susanna Raule

Alla Spezia era in corso una guerra. Non una guerra tra bande, peggio. Non una guerra tra borghesia e proletariato, magari. E non era neanche una guerra commerciale, non in senso stretto. In realtà, a guardare bene, era un po’ tutte e tre, ma il campo di battaglia era trasversale, primomondista, profondamente simbolico. Durava da anni e non accennava a placarsi. Era una guerra combattuta senza esclusione di colpi, strada per strada, piazza per piazza, portico per portico, apericena per apericena. Era la guerra tra la movida e i residenti del centro storico.

Una sporca guerra. Una guerra da cui nessuno sarebbe uscito vincitore e in cui tutti avrebbero perso. Ma ciò non significava che entrambe le fazioni non fossero disposte a combatterla fino in fondo.

Il commissario Sensi, per fortuna, era estraneo al conflitto. Viveva in una mansarda nel centro storico, ma il suo vicolo apparteneva a quella minoranza di vicoli tra via Prione e corso Cavour che non era stata sfiorata dal XXI secolo. Per la verità vico Cerniai era stato sfiorato a malapena dal XX secolo. Nel senso che, sì, era collegato al sistema fognario, ma la modernità si spingeva poco oltre. Sul lato di via Prione, l’imboccatura era presidiata da un laboratorio di ceramiche e da un negozio di abbigliamento cinese, mentre sul lato di piazza Mentana, c’era solo un elegante showroom di arredamento per il bagno – sanitari di altissimo livello, che Duchamp non avrebbe saputo da che parte rigirare per farne opere surrealiste. In mezzo, solo quattro o cinque portoncini stretti, che davano su scale altrettanto strette e storte, con i gradini alti che usavano quando la selezione naturale era ancora feroce.

Lassù, nella sua mansarda al quarto piano, Sensi era turbato solo dai colpi di scopa con cui la vicina martellava il soffitto ogni volta in cui il commissario faceva rumore.

Essendo un gotico di stretta osservanza, la sera non si intratteneva quasi mai nei locali del centro. Quando si sentiva in forma, o molto disperato, si spostava verso l’alta Toscana per rimorchiare ragazze dark in locali scalcinati. Se aveva successo, di solito preferiva consumare sul posto.

Un’altra possibilità, fastidiosissima, prevedeva la presenza dell’ispettrice Riu. L’ispettrice Riu era salutista, aveva un culto del proprio parquet e per di più non voleva assolutamente che la loro quasi-relazione diventasse di pubblico dominio. Sensi a volte si chiedeva perché perseverare in quella scomoda, irritante, litigiosa frequentazione, ma era un vizio che non riusciva ad abbandonare.

In alternativa, poteva passare una serata tranquilla a casa di Giustino Levi, anziano librario e vecchio amico, sempre disponibile a un bicchiere di porto e qualche chiacchiera esoterica. Infine, e forse la scelta preferita, poteva restarsene nella sua mansarda ad ascoltare musica goth, con la Vettori che batteva con la scopa sul soffitto. Ormai lo faceva quasi a tempo e Sensi aspettava il giorno in cui avrebbe ammesso che i Joy Division avevano iniziato a piacerle.

Il commissario e la movida, quindi, non si incontravano quasi mai. Al massimo per pochi minuti a notte fonda, mentre lui tornava a casa, quando doveva fare attenzione a non investire i passanti ubriachi che vagavano davanti alla sua jeep.

E dato che aveva la salutare abitudine di non mettere il naso fuori di casa prima delle dieci e mezza del mattino, quando usciva dal portone, lo scenario fatto di bottiglie vuote e chiazze di vomito era già stato ripulito.

Insomma, era sicuro che il conflitto in corso non l’avrebbe mai raggiunto.

Come gli succedeva spesso, si sbagliava.

"Ermanno, una disgrazia di gravità assoluta".

Il tono di Levi, al telefono, era funereo.

"Ti prego, dimmi che non hai evocato un demone per sbaglio."

Nel retro della libreria di Levi erano ospitati diversi testi antichi e pericolosi. E quasi sempre su richiesta di Sensi, motivo per cui, se ci fosse stato un incidente, il commissario avrebbe sviluppato all’istante una discreta coda di paglia.

"Non essere assurdo. Peggio, molto peggio".

"Non mi vengono in mente molte cose peggiori di...".

"Una bruschetteria!"

"Scusa?"

Nel campo dell’occulto Sensi aveva conoscenze ampie e variegate, ma non aveva mai sentito dire che una bruschetteria potesse costituire un pericolo sul piano esoterico.

"Una bruschetteria. Con tavolini all’esterno. Ha appena aperto davanti a casa mia. Stanno trasmettendo musica."

"Quale musica?"

"Dice sogno una vita da bunker. Non so nemmeno che cosa voglia dire".

Sensi rabbrividì. "Arrivo subito".

Ma c’era ben poco da fare. Levi libri antichi e restauro sorgeva in una delle prime traverse di via Prione, una viuzza stretta e buia, con il lastricato tutto sconnesso, mai restaurato, tra un negozio di costosissimi abiti vintage e un robivecchi. L’anziano libraio abitava in un appartamento nel palazzo accanto, un edificio non dissimile da quello del commissario, con i muri storti e le scale strette. E ora, proprio davanti al suo portone, avevano aperto una bruschetteria.

L’inaugurazione era in corso, era pieno di gente. Lo stereo pompava musica per quarantenni. Insomma, non Achille Lauro, ma Bobo Vieri, non Anna del Bando, ma Despacito.

"Forse sono stato troppo affrettato nel giudicarli" disse Levi, sbirciando oltre il vetro polveroso della porta della libreria. Il vetro, per inciso, vibrava. "Forse, anzi, aumenteranno i clienti."

Guardò anche Sensi. Due quarantenni si stavano inseguendo per la strada, minacciandosi a vicenda con una bruschetta unta.

"Può darsi. Se inizi a vendere il libro con le barzellette di Totti".

"Non essere classista. Si possono apprezzare sia le bruschette, sia le prime edizioni della Hakluyt Society".

Sensi doveva ammettere che non era impossibile. Lui stesso mangiava quasi solo kebab o pizza surgelata, eppure aveva una vasta cultura in fatto di demonologie antiche. Certo, il fatto di avere un diavolo incastrato dentro l’aveva aiutato a sviluppare i suoi interessi.

"Poniamo per assurdo che non avvenga" disse.

Tornarono verso l’interno del negozio. Gaspode, il cane di Levi, era accucciato come sempre sotto la scrivania, ma quel pomeriggio aveva anche le zampe sopra la testa. Era l’epitome della miseria canina.

Levi fece un gesto vago, accomodante. "Mi comprerò dei tappi per le orecchie. E poi non saranno sempre aperti, non pensi? D’altronde è la modernità. Parafrasando Camus, una sola frase basterà a descrivere l’uomo moderno: egli era sordo e si nutriva di bruschette".

Sensi era felice che la stesse prendendo così bene.

Felice, ma un po’ sospettoso.

1 - continua