Forse è la prima volta che assaggia una brioche. Quella mezzaluna soffice, con un cuore di albicocca, è una carezza più per l’anima che per lo stomaco. La piccola Malika la gusta lentamente nel suo lettino al piano superiore del Terminal 1, l’area riservata ai minori non accompagnati sbarcati dalla Geo Barents. Non ha ancora compiuto sei anni ma ha già conosciuto delle asperità che tanti di noi fortunatamente non si troveranno a fronteggiare in tutta una vita. Tra le tante brandine accanto alla sua, dove riposano altrettanti bambini – partiti come lei senza genitori – passano veloci volontari e psicologi. Ci si capisce con un po’ di inglese, un po’ di francese, ma soprattutto con gli sguardi e i sorrisi, che sono universali e non hanno bisogno di traduzione. In mezzo a quelli con la pettorina gialla che fra di loro parlano una lingua così diversa dalla sua, Malika nota in particolare un ragazzone robusto, vestito di nero e con un collarino bianco. La sta salutando sorridendo e a lei viene naturale baciarsi la mano e soffiare verso di lui. Don Luca scende le scale e fa il punto coi propri operatori. È stata una giornata lunghissima e lo sarà anche la notte, ma la sua squadra ha dato grande prova di sé. Prima di tornare in canonica per riposare qualche ora, decide di salire un’ultima volta al piano dei piccoli ospiti. Le luci sono state abbassate e tanti dormono già. Mentre sta per uscire sente un sibilo di richiamo, proveniente dalla prima fila di brandine. Si volta e vede Malika che gli invia un nuovo bacino. Il don si illumina in un grande sorriso ma esce svelto, tante lacrime gli stanno rigando le guance. Don Luca, quante volte si è commosso in questi giorni? "Devo ammetterlo, parecchie. Soprattutto ascoltando, grazie ai mediatori culturali, le storie di queste persone. Tante donne, soprattutto quelle che sono partite dalla Libia, portano i segni di violenze atroci. Un ragazzo, non ancora maggiorenne, ci ha mostrato la sua schiena, segnata dal nerbo di bue con cui lo hanno più volte fustigato. E poi gli occhi grandi e puri dei bambini". Un’accoglienza che ha visto Caritas protagonista ma che ha coinvolto tutta la città. Come è stata la risposta degli spezzini? "Splendida. Non appena ho fatto un appello per chiedere generi di prima necessità siamo stati inondati di coperte, cibarie e perfino di giocattoli. I medici hanno fatto un lavoro straordinario. E poi le tante telefonate di ristoranti e bed and breakfast, i cui proprietari mi dicevano che in caso di bisogno erano pronti a fornire aiuto. Con il Comune abbiamo lavorato benissimo, così come con tutti gli altri enti e associazioni. Non posso dimenticare il mio vescovo che, per permettermi di essere in banchina il sabato mattina, è venuto a celebrare la messa nella mia parrocchia, e tutti i miei confratelli". Sui social sono arrivate però anche delle critiche molto forti. Come le giudica? "Più che di critiche parlerei di insulti. Alcuni li ho voluti leggere, altri mi sono rifiutato. Ai leoni da tastiera, soprattutto a chi tra questi ha delle responsabilità politiche, vorrei dire di piantarla con questo atteggiamento. Li invito ad accompagnarmi. Li prenderei a braccetto e gli mostrerei in che cosa realmente consiste l’accoglienza. È un’esperienza dalla quale uscirebbero cambiati, sono sicuro. Gli occhi di quei bambini sono la prova che la speranza non è un’utopia". Vimal Carlo Gabbiani