Peculato, assolto il colonnello Defila. Uso legittimo dell’auto di servizio

Respinto dalla Cassazione il ricorso del procuratore generale

Il colonnello Marco Defila

Il colonnello Marco Defila

La Spezia, 28 gennaio 2016 - L’affondo del procuratore generale in Cassazione non lo ha scalfito: il proscioglimento del colonnello Marco Defila, deciso dal gip, fu ineccepibile. Parola di suprema corte Nessun peculato con l’auto blu. E ombre spazzate via, definitivamente. Si erano addensate sull’alto ufficiale della Guardia di Finanza, nel 2013, quando guidava il comando provinciale, dopo tre anni di brillanti operazioni inanellate sul territorio. Le indagini da lui dirette avevano portato alla sbarra e fatto condannare trafficanti di droga e di uomini, imputati di mega-evasioni fiscali, bancarottieri, importatori di vagonate di merce bluff, truffatori...

Fino a trovarsi inquisito per peculato militare. Nel mirino finì l’uso delle auto di servizio, per i viaggi dalla sua casa di residenza in provincia di Lucca alla caserma della Spezia (e ritorno), per quelli effettuati, ancor prima, quando era comandante a Prato (2004-2010) tra la stessa abitazione e la caserma della città toscana e per alcuni viaggi alla stazione di Firenze dove poi si imbarcava sul treno per Roma (e viceversa). Ad innescare l’inchiesta, sviluppata alla procura militare di Roma, fu una lettera anonima. Ebbene, ieri, il colonnello, ora in servizio a Roma, ha ottenuto dalla Cassazione la certificazione della bontà logica e argomentativa della sentenza di proscioglimento pronunciata dal gip a fronte dell’accusa di peculato di oltre 60mila euro (tra carburante consumato e pedaggi autostradali).

Il suo legale, l’avvocato Virginio Angelini, ha dimostrato che l’uso dell’auto istituzionale per raggiungere le caserme era legittimo: Defila era stato autorizzato dai superiori stante la sua rinuncia ad usufruire degli alloggi di servizio; quanto ai viaggi alla stazione di Firenze, si trattava di missioni per raggiungere poi, col treno, Roma e recarsi al Senato in qualità di consulente. Non solo: c’era anche da far fronte ad esigenze di sicurezza a seguito delle minacce subite, all’epoca del comando alla Spezia. Tutto documentato alla virgola. Risultato: confema del non doversi procedere «perchè il fatto non costituisce reato». La fine di un incubo per Defila che, sotto l’ombra del peculato, ha avuto la carriera congelata.

La vicenda processuale romana, al di là del suo esito, fa notizia anche per quanto è emerso dall’arringa di Angelini: le minacce subite da Defila alla Spezia a fronte del contrasto a traffici illeciti; era quello, ad esempio, il tempo dell’inchiesta che portò al sequestro-record in porto di una tonnellata di cocaina. A suggello della difesa la scheda valutativa del Comando generale là dove è scritto: "Il colonnello, nonostante le avvisaglie di pericolo ha continato ad operare con entusiasmo e professionalità nell’espletamento dei diversificati, complessi e gravosi incarichi".

Corrado Ricci