Mani ruvide, larghe come delle palette e incrostate dal tannino che fuoriesce dalla corteccia dei pini. Per Fulvio Moscatelli, prima ancora dello sguardo e della voce, sono loro a parlare. Palmi, dita e dorsi che raccontano, attraverso le gibbosità e le rughe, la pratica di un mestiere antico, quasi in via di estinzione, quello del boscaiolo. Mentre percorre in discesa il pendio della collina sottostante Zignago e si avvicina al pino nero che questa mattina taglierà, Fulvio studia il terreno con attenzione. Osserva poi la chioma della pianta, e fiuta il vento, per intuire come questo influirà nella caduta a terra dell’albero. Nonostante ventotto anni di esperienza e centinaia di pini abbattuti, per evitare brutte sorprese, ogni caso va sempre analizzato singolarmente e la fretta è cattiva consigliera. Rispetto ai tempi antichi gli strumenti si sono evoluti, la scure ha ceduto il posto alla motosega, di cui oggi esistono tipologie modernissime e automatizzate. La mano dell’uomo che guida l’attrezzo rimane in ogni caso di gran lunga più importante dell’attrezzo in sé, e quella di Fulvio, con la pelle un po’ ispessita da tanti anni di fatica ma ancora saldissima, non tradisce. Ad un forte spostamento d’aria, segue il rumore dei rami e delle fronde che si schiantano sul terriccio.  Cosa le piace di più del suo mestiere?  "La sensazione di libertà. Lo stare sempre all’aria aperta. Con il sole e con la neve. Con il vento e con la pioggia. La città mi toglie il respiro, solo trovare un parcheggio diventa una grande fonte di stress. L’odore dello smog, il cemento e l’asfalto sono tutti elementi che tendono ad ottundere i cinque sensi. Per uno come me, che è cresciuto in campagna, sarebbe impossibile passarci troppo tempo. Così come restare chiuso in un ufficio per otto ore al giorno, vedendo ripetere la propria vita sempre uguale in una routine senza fine". Accanto a lei oggi c’è suo figlio. Il mestiere del boscaiolo può essere interessante anche per le nuove generazioni?  "Assolutamente. Federico ha diciotto anni, studia ancora. Ma al pomeriggio mi accompagna nel bosco, sa già tagliare un albero tutto da solo. Per me è una soddisfazione, un piccolo orgoglio personale. Avendomi osservato fin da quando era bambino, ha imparato con gli occhi prima ancora che con le mani. Gli ho sempre detto che non deve sentirsi forzato a seguire le mie orme, ma certo se lo facesse sarei molto contento". Quale è il suo margine di guadagno?  "Al momento basso. È aumentato il prezzo del gasolio, dell’energia e persino delle ruote dei trattori. Il legname che produco vale 80 euro a tonnellata comprensivo di trasporto alla segheria. Il pino nero, importato nelle nostre zone in epoca fascista dall’Austria, ha una notevole resistenza. Trova il suo maggiore impiego nella costruzione di bancali, per esempio quelli su cui poi viene lavorato il marmo di Carrara. Per il resto la filiera è molto corta, nei paesi della Val di Vara in tanti hanno ancora il camino e usano la legna per riscaldarsi". Come giudica l’idea della costituzione di un consorzio che riunisca al proprio interno tutti gli operatori del legno del territorio?  "Va premesso che siamo liguri, e quindi abbastanza inclini ad essere solitari. Credo però che un’unione, si vedrà poi con quale forma, possa senz’altro giovare al nostro comparto". Vimal Carlo Gabbiani

Cronaca

Mani ruvide, larghe come delle palette e incrostate dal tannino che fuoriesce dalla corteccia dei pini. Per Fulvio Moscatelli, prima ancora dello sguardo e della voce, sono loro a parlare. Palmi, dita e dorsi che raccontano, attraverso le gibbosità e le rughe, la pratica di un mestiere antico, quasi in via di estinzione, quello del boscaiolo. Mentre percorre in discesa il pendio della collina sottostante Zignago e si avvicina al pino nero che questa mattina taglierà, Fulvio studia il terreno con attenzione. Osserva poi la chioma della pianta, e fiuta il vento, per intuire come questo influirà nella caduta a terra dell’albero. Nonostante ventotto anni di esperienza e centinaia di pini abbattuti, per evitare brutte sorprese, ogni caso va sempre analizzato singolarmente e la fretta è cattiva consigliera. Rispetto ai tempi antichi gli strumenti si sono evoluti, la scure ha ceduto il posto alla motosega, di cui oggi esistono tipologie modernissime e automatizzate. La mano dell’uomo che guida l’attrezzo rimane in ogni caso di gran lunga più importante dell’attrezzo in sé, e quella di Fulvio, con la pelle un po’ ispessita da tanti anni di fatica ma ancora saldissima, non tradisce. Ad un forte spostamento d’aria, segue il rumore dei rami e delle fronde che si schiantano sul terriccio. 
Cosa le piace di più del suo mestiere? 
"La sensazione di libertà. Lo stare sempre all’aria aperta. Con il sole e con la neve. Con il vento e con la pioggia. La città mi toglie il respiro, solo trovare un parcheggio diventa una grande fonte di stress. L’odore dello smog, il cemento e l’asfalto sono tutti elementi che tendono ad ottundere i cinque sensi. Per uno come me, che è cresciuto in campagna, sarebbe impossibile passarci troppo tempo. Così come restare chiuso in un ufficio per otto ore al giorno, vedendo ripetere la propria vita sempre uguale in una routine senza fine".
Accanto a lei oggi c’è suo figlio. Il mestiere del boscaiolo può essere interessante anche per le nuove generazioni? 
"Assolutamente. Federico ha diciotto anni, studia ancora. Ma al pomeriggio mi accompagna nel bosco, sa già tagliare un albero tutto da solo. Per me è una soddisfazione, un piccolo orgoglio personale. Avendomi osservato fin da quando era bambino, ha imparato con gli occhi prima ancora che con le mani. Gli ho sempre detto che non deve sentirsi forzato a seguire le mie orme, ma certo se lo facesse sarei molto contento".
Quale è il suo margine di guadagno? 
"Al momento basso. È aumentato il prezzo del gasolio, dell’energia e persino delle ruote dei trattori. Il legname che produco vale 80 euro a tonnellata comprensivo di trasporto alla segheria. Il pino nero, importato nelle nostre zone in epoca fascista dall’Austria, ha una notevole resistenza. Trova il suo maggiore impiego nella costruzione di bancali, per esempio quelli su cui poi viene lavorato il marmo di Carrara. Per il resto la filiera è molto corta, nei paesi della Val di Vara in tanti hanno ancora il camino e usano la legna per riscaldarsi".
Come giudica l’idea della costituzione di un consorzio che riunisca al proprio interno tutti gli operatori del legno del territorio? 
"Va premesso che siamo liguri, e quindi abbastanza inclini ad essere solitari. Credo però che un’unione, si vedrà poi con quale forma, possa senz’altro giovare al nostro comparto".
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