Dalla campagna di Libia a Caporetto "Nei ricordi le emozioni di un uomo"

Marco racconta episodi di vita del nonno Attilio Calabresi, nell’11° Bersaglieri durante la Grande Guerra

Dalla campagna di Libia a Caporetto  "Nei ricordi le emozioni di un uomo"

Dalla campagna di Libia a Caporetto "Nei ricordi le emozioni di un uomo"

Il raduno dei bersaglieri in città è stato lo spunto per ricordare quel nonno che amava raccontare i suoi anni giovanili che lo avevano visto partecipare, ad appena 18 anni, alla guerra di Libia e dal 1914 al 1918 alla Grande Guerra. Il suo ricordo è apparso ieri mattina sulle pagine del nostro giornale con tanto di foto in divisa da bersagliere. A fare la sorpresa alla famiglia il nipote, di parte paterna, Claudio. A raccontare invece aneddoti e squarci di vita di Attilio Calabresi, un ragazzo del 1893, e Cavaliere di Vittorio Veneto, è stato l’altro nipote Marco. Nei suoi ricordi si sente l’affetto per quel nonno tutto d’un pezzo eppure premuroso e con una disponibilità innata a raccontare con dovizia di particolari quei tempi andati. Così difficili da sopportare eppure orgoglioso di averlo fatto.

"Il nonno faceva parte dell’Undicesimo bersaglieri – racconta Marco Mariani – dopo il ritorno dalla Libia perché aveva preso la malaria, prese parte anche alla Grande Guerra fino ad arrivare a Caporetto dove è stato fatto prigioniero. Mi sono sempre piaciuti i suoi racconti che oggi, in alcune occasioni, tramando a figli e nipoti" E aggiunge con un sorriso sulle labbra – "Su Caporetto ci sono due versioni: ferito per una esplosione di una bomba, e scampato alla morte grazie allo scudo dei corpi dei suoi commilitoni, era stato fatto prigioniero. Sei mesi di prigionia in cui lui raccontava di essere riuscito a fuggire ma mio zio, suo fratello che era in fanteria, ha sempre raccontato che era riuscito ad ammaliare una infermieria che lo aveva aiutato a scappare". Originario di Grosseto, Attilio era figlio di un panettiere e aveva quattro fratelli. L’unico a non essere andato al fronte era stato l’ultimo. "Per fortuna gli altri tre sono tutti tornati a casa – prosegue Marco – non oso pensare quello che hanno passato i miei nonni, senza sapere nulla della loro sorte. Le lettere impiegavano mesi ad arrivare. La prima da quando era partito per il fronte aveva impiegato 8 mesi. E l’ultimo figlio aveva evitato la guerra perché altrimenti non avrebbero potuto mandare avanti la bottega".

"Nei suoi racconti non c’erano soltanto gli assalti – prosegue – ma mi trasmetteva anche le emozioni di un uomo, di quello che aveva vissuto. Era lucido, una buona memoria, ricordava con piacere i commilitoni e ricordo ancora i nomi di due di loro. Uno, mio nonno, lo chiamava Gaghe era un romano e so che nel corso degli anni si sono scritti e un altro era Veneziano e mi pare si chiamasse Scermino. Si erano anche rivisti". Un racconto che potrebbe andare ancora avanti. Nelle parole di Marco l’affetto per quel nonno così amabile che sapeva far rivivere attraversole parole uno spaccato di storia e che aveva salutato con grande soddisfazione e orgoglio l’onorificenza di “Cavaliere di Vittorio Veneto“.

Alla fine della I Guerra Mondiale, Attilio viene assunto in Ferrovia. Inizia la vita civile, le responsabilità della famiglia. E con essa da Grosseto si trasferitisce a Spezia. I suoi figli Fosco e Fidia, avevano 8 e 5 anni. "Siamo spezzini a tutti gli effetti – spiega Marco sorridendo – e a Spezia i miei hanno passato la II Guerra mondiale. Anche quelli sono stati anni difficili ma l’essere un ferroviere è stata la sua salvezza. All’epoca non c’era da mangiare ma quando il nonno arrivava da Parma aveva con sé il cibo. Quel tesserino da ferroviere era una sorta di lasciapassare. Mi rendo conto che quando oggi racconto le vicende del nonno in famiglia sembrano quasi romanzate, ma le cose non stanno proprio così".

Anna M. Zebra