"Da ragazzo, la parola bellezza non si sentiva. Ma c’era l’armonia delle vigne. E bastava"

Cantore della civiltà contadina e delle rivoluzioni, lo scrittore castelnovese Maurizio Maggiani si interroga sul concetto di cultura. "Cercatela nelle cose utili e fatte per bene, a regola d’arte. Come il reticolo delle fosse che mia nonna disegnava per irrigare i campi"

Lo scrittore Maurizio Maggiani è originario di Castelnuovo Magra

Lo scrittore Maurizio Maggiani è originario di Castelnuovo Magra

La Spezia, 22 settembre 2021 - Maurizio Maggiani, cantore della civiltà contadina ma anche narratore di rivolte libertarie (l’ultimo romanzo, L’Eterna gioventù, racconta fra storia e leggenda le piccole grandi-rivoluzioni che hanno segnato gli ultimi due secoli, da Garibaldi al Ponte Morandi, e le istanze di una dinastia di ribelli ostinatamente aggrappati al loro sogno), ha una visione tutta sua della bellezza.

"Vede, io sono di Castelnuovo Magra – chiarisce –, e qui ho trascorso la mia infanzia, prima di trasferirmi alla Spezia, dove ho vissuto finché ho potuto, e poi a Genova. Beh, io la parola bellezza, da ragazzo, non l’ho mai sentita. Anzi, per dirla tutta, non credo che esista proprio nel dialetto della mia terra. Posso dirle solo quello che per me è bello. Ed è questo. Avevo sei anni quando mio nonno mi ha insegnato a potare la vigna, regalandomi una piccola cesoia. Ricordo bene quando, finita l’operazione nei filari, si voltava indietro e guardava soddisfatto il frutto del suo lavoro. Ecco, quell’armonia, quell’originalissimo ritmo decorativo mi apparivano una cosa bella: era la bellezza dell’utile. Nel senso che se fai una cosa bene, quella è bellezza, proprio come un filare potato a regola d’arte. Una vigna potata male non è bella".  

«Le racconto un’altra cosa – incalza Maggiani, tuffandosi nei suoi ricordi d’infanzia –. Ho ben presente quando, negli anni ‘50, la mia famiglia comprava l’acqua per l’irrigazione dal Canale Lunense. Arrivava l’acquaiolo, apriva le saracinesche e immetteva l’acqua nella canala che l’avrebbe portata verso i campi. Si trattava però di realizzare, prima, il reticolo delle fossette per alimentare le coltivazioni. A quel punto io salivo su un pero e guardavo affascinato mia nonna al lavoro. Era, la sua, una bellissima geometria, un’installazione artistica capace di stupire. Sicuramente un’opera utile e ben realizzata, per ciò stesso stesso bella".

Maggiani, l’evento organizzato dal nostro giornale ruota attorno a ‘I dialoghi sulla bellezza’, declinata in chiave culturale, ma intesa anche come potente strumento di ripartenza economica. Qualcuno tempo fa diceva che la cultura non si mangia. A parte la rozzezza del concetto, l’assioma pare ormai ampiamente superato, tutti sostengono che la cultura rappresenta una risorsa. E’ d’accordo anche lei, immagino... "Personalmente compilo ogni anno la dichiarazione dei redditi e con la cultura mantengo regolarmente me e la mia famiglia".  

Parliamo della sua identità narrativa. A parte i classici, ci sono scrittori, espressione del territorio, che hanno in qualche modo influito sulla sua formazione o contribuito alla sua ispirazione? "I miei grandi maestri non sono di Castelnuovo (sorride, ndr.), ma mio nonno, mio padre, mia nonna e la mia bisnonna, con i loro racconti sono stati il fondamento della mia letteratura. Io cerco di scrivere storie attingendo a quella meravigliosa tridimensionalità, sonorità e spazialità del racconto orale. Come in tutte le famiglie negli anni ‘50, dopo cena e dopo 14 ore di lavoro, c’era sempre qualcuno che raccontava qualcosa ed era quello che poteva aver visto o immaginato un contadino. Non si parlava certo di Guerra e pace o di Proust. Io sono cresciuto con i racconti dei nonni e della zia Carla. Come quello della gallina senza cervello della Fernanda, diventata leggenda di un’intera comunità (la storia è legata alla tradizione di tagliare la testa della gallina e usarla per il brodo, ma quella della Fernanda, a sorpresa, era risultata senza cervello. Da qui il detto ‘quello è senza cervello come la gallina della Fernanda’, ndr. )".  

La cultura, oltre alla politica – quella disinteressata e non condizionata da interessi economici – può concretamente contribuire a salvaguardare il patrimonio ambientale? "Guardi, per me è una battaglia persa. E sa perché? Gli uomini più potenti del mondo – che non sono Biden, Putin, Xi Jinping o Draghi ma Bezos e Musk, quello della Tesla – si stanno organizzando per tagliare la corda, lasciare la terra. I potenti la sanno lunga e se dicono che qui non c’è niente da fare, c’è da credergli. Dopodiché, la tutela dell’ambiente è sicuramente cultura. I contadini analfabeti degli anni ‘50 sapevano benissimo che c’era un patto da rinnovare anno per anno con l’Universo, l’uomo rinunciava al ruolo di padrone della Natura assumendo quello della responsabilità. Il tema, oggi, è proprio quello della cultura del potere contro la cultura della responsabilità. Il Dio dei cristiani o dei musulmani non dice che l’uomo è il padrone del mondo ma ne è il custode responsabile".