Coronavirus, test sierologico: molti sanitari positivi

Una fetta consistente, fra medici e infermieri, ha contratto la malattia e l’ha superata generando gli anticorpi. Numeri top secret

Emergenza coronavirus

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La Spezia, 3 aprile 2020 - Già in 150, tra medici e infermieri, hanno aderito alla campagna di monitoraggio dell’Asl sulla diffusione del virus tra i propri operatori. Il percorso proposto è quello dei test sierologici, da non confondersi - è bene ripetere - col tampone che accerta la positività al coronavirus e quindi la possibilità del malato di essere un veicolo di contagio.

Il test sierologico, risolvendosi nell’analisi del sangue, è finalizzato a cogliere la risposta immunitaria dell’organismo umano, cioè a dire la capacità dello stesso di generare anticorpi. Ebbene, l’esistenza di questi, fa prova dell’avvenuto smaltimento della malattia, anche se questa non ha infierito più di tanto sull’organismo, o con sintomi lievi o con l’inesistenza degli stessi.

Ebbene, le indiscrezioni che rimbalzato sul fronte di chi è stato sottoposto al test, porta all’emersione di un dato infieri, ancora da quantificare nel dettaglio; ma è certo che una fetta consistente di medici e infermieri ha combattuto senza saperlo, o appena avvertendolo, con il Codiv-19. Pochi dubbi sulla location del contatto che ha insinuato nel corpo il virus: l’ambiente ospedaliero.

Domanda: chi ha traccia degli anticorpi del coronavirus può essere ancora portatore di contagio, anche in assenza di sintomi tipici? La risposta è lapidaria: no. Il test sierologico si limita a certificare i casi in cui l’organismo è entrato a contatto con l’agente patogeno. Nel caso del tampone orofaringeo, il quadro è completamente diverso: si tratta di un test di ricerca che consente di sapere se il soggetto esaminato abbia un’infezione in corso e sia quindi potenzialmente contagioso.

Ma non è però automatico, per coloro che hanno combattuto la malattia senza avvertirla, sottoporsi al test del tampone. Questo continuerà ad a essere ’governato’ dal precedente protocollo: è eseguibile soltanto sui sanitari che, entrati a contatto con soggetti positivi, abbiano sviluppato una sintomatologia specifica: febbre, tosse, mal di gola, perdita del gusto.

La prova, invece, del superamento della malattia, con l’effetto indotto, per il ’contraente’, di non essere più portatore della stessa, può desumersi solo dal risultato negativo di due tamponi nell’arco di 24/48 ore.

Intanto prosegue lo screening sierologico, potenzialmente aperto alla verifica di tutti gli operatori sanitari che agiscono sul campo. Dopo l’avvio mirato della campagna nel reparto di Nefrologia, la stessa prosegue su base su base volontaria, previa prenotazione all’ambulatorio di medicina preventiva. Come detto, finora sono 150 i ’testati’.

Il risultato, non riscontrato da fonte ufficiale ma desunto dall’incrocio di versioni che rimbalzano sul fronte di chi si è sottoposto al test, porta ad un primo riscontro della portata dell’incursione del virus: considerevole. Ossia medici e inferminieri si sono fatti inconsapevoli portatori, potenzialmente, se non collocati in malattia, proprio là dove l’obiettivo è quello di curare le persone. Un paradosso, figlio dell’emergenza e di una risposta affannosa alla stes sa. Corrado Ricci © RIPRODUZIONE RISERVATA