Caso Corini, i rimorsi della sorella Marzia. "Quando eravamo bimbi, quanto lo amavo"

Pianti al telefono per il fratello morto

A destra la sorella dell'avvocato Corini arriva al tribunale di Spezia (Foto Frascatore)

A destra la sorella dell'avvocato Corini arriva al tribunale di Spezia (Foto Frascatore)

La Spezia, 27 febbraio 2016 - C’E’ DI PIU’ nella telefonata-confessione di Marzia Corini a Susanna Cacciatori, intercettata dai carabinieri il 21 gennaio scorso, quella letta dagli inquirenti come prova della convinzione della donna di aver commesso un omicidio. Marzia chiama Susanna e le dice: «Tu hai capito che se io non avessi sedato Marco in quel giorno non sarebbe morto?». Susanna risponde «no» e Marzia insiste: «Perché lui è morto perché io l’ho sedato». Sennò quanto andava avanti, domanda l’amica. «Forse un mese, due». E l’amica: «Io pensavo che avessi fatto una cosa anticipata di un giorno». Marzia: «Assolutamente no». Ma il contesto della chiamata è quello della sorella rimasta sola, c’è il rimorso per non aver coltivato il rapporto con Marco nell’età adulta, di non aver raccolto a tempo debito il suo Sos legato al dilagare della malattia. L’umanità, i ricordi di Marzia emergono, tra lacrime e sospiri, annotati dai carabinieri a margine delle trascrizioni. Ecco lil dialogo a valle della confessione.

Marzia: «Quanto mi manca... Susanna. Quando mi manca, cazzo. Quanto mi manca parlare con lui! Siamo stati due coglioni! ...che stronza che sono stata...».

L’amica Susanna cerca di confortarla: «Marzia... dai! Non puoi dir cosi... Non puoi dir così... eh».

M.: «Ma sono stata una stronza a star lontana da lui tutti quegli anni...»

S.: «No sbagli, Marzia...».

M.: «Io non lo conoscevo per niente...». Continua a piangere e sospirare, scrivono gli investigatori.

M.: «Mi manca quello che è stato..»

S., sempre preoccupata di alleggerire il peso psicologico che grava sull’amica: «Ho capito Marzia...però pensa che...che... cosa gli hai tolto di...di....di... sofferenza?».

M.: «No mi manca quello che non abbiamo vissuto; non abbiamo mai vissuto da fratello e sorella».

S.: «Ho capito Marzia...».

M.: «Eehh non l’avremo mai fatto se..»

S.: «Ma non è dipeso da te Marzia...»

M.: «....Non si fosse ammalato...mai fatto...».

S.: «Ma non dipeso da te!».

M.: «E’ andata così».

S.: «E’ dipeso da un insieme di situazioni...non è che lui chiamava e tu non rispondevi...».

M. (riprende a piangere annotano i carabinieri): «Mi manca mio fratello perché tu non sai quando eravamo bambini quanto lo amavo Marco».

Il cruccio maggiore è però quello non aver raccolto una sua richiesta di aiuto quando il tumore montava.

M.: «Quando lui si è operato la seconda volta mi ha mandato un bigliettino tramite un neurochirurgo... quando vuoi...dove vuoi...»

S.: «Ho capito Marzia, hai fatto una cazzata»

M.: «E io l’ho rifiutato e gliel’ho rimandato indietro. Non me lo perdonerò mai quel momento. L’unica volta che mi ha cercato io l’ho rifiutato...» (piange e si commuove ancor di più, scrivono letteralmente i carabinieri dando atto di un dramma interiore che le solo parole messe nero su bianco nella trascrizione letterale non permettono di cogliere fino in fondo).

S.: «E te quante volte l’hai cercato?»

M.: «Due o tre».

S.: «E...e allora?».

M.: «Io non gli avevo fatto niente»

S.: «Ma te l’avevi cercato».

M.:«Non gli avevo fatto niente... hai capito non gli avevo fatto niente» (si commuove ancora, annotano i militari dell’Arma).

S.: «Ma lui ti aveva fatto...Marzia!»

M.: «Vabbè».

S.: «Non è che sto cercando di colpevolizzarlo e te santa... però sono stati un insieme di eventi che vi hanno portato a....a... avere comportamenti una in un modo...uno in quell’altro.. a non sentirsi». E qui Marzia si addentra nelle dinamiche familiari. Troppo private ed estranee ai capi di imputazione per ripercorrerle.