Caso Corini, il 'sabba' del testamento

Il processo a Marzia Corini, accusata di avere ucciso il fratello Marco. Investigatore rivela l’sms dell’avvocato Feliciani alla sorella del legale

L’avvocato Marco Corini

L’avvocato Marco Corini

La Spezia, 21 maggio 2019 -  È  un giorno cruciale nella querelle testamentaria che ruota attorno alle condizioni di Marco Corini, malato terminale, sfiancato, lucido a corrente alternata, comunque depresso: il 17 settembre 2015. Ossia il giorno prima del confezionamento del testamento redatto dalla sorella Marzia e firmato da lui e per questo incriminato (l’atto) per falso. Quel giorno Marco, sotto morfina, grazie ad una diminuzione della dose del prodotto che lenisce il dolore, sta un po’ meglio, quanto meno sul piano della percezione degli eventi. Lo ha ricostruito il maresciallo capo Gabriele Chinca, teste d’accusa, nell’esame condotto dal pm Luca Monteverde, affiancato sempre dal procuratore capo Antonio Patrono; i magistrati, dopo le ricostruzioni d’insieme del luogotenente capo della sezione di pg dei carabinieri Fabrizio Giovannini all’inizio del dibattimento, mirano agli approfondimenti puntuali.

Si colloca  in questo contesto la rivelazione dell’esistenza di un sms dell’avvocato Giuliana Feliciani a Marzia Corini il 17 settembre, alle 12,30, puntini di sospensione compresi. «Marzia... Ora Marco sta bene. Quindi domani devo stare qui parecchie ore...». Per l’accusa un elemento a sostegno dell’intrigo, dell’intesa delle coimputate di cogliere l’occasione per chiudere con il testamento finalizzato al traguardare il massimo rendimento personale. Per la difesa-Feliciani una prova delle premure della stessa ad affrontare un percorso doloroso ma al meglio delle condizioni di reattività di Marco.

A questo punto si collocano altri due sms aperti alle interpretazioni. Quello di Corini all’autista Francesco Tralongo: «Sto meglio da domani si riparte», al quale l’avvocato difensore Valentina Antonini, ancora la dimostrazione che il malato terminale non era circonvenibile. Quell’altro, sempre di Corini, all’amica avvocatessa Giovanna Daniele, collega di studio, nella serata del 17, rievocato da Chinca: «Credi qua è un Sabba. Qui ci sono persone di cui non mi fido...». Secondo tradizione sabba sarebbe un convegno di streghe in presenza del demonio, durante il quale verrebbero compiute pratiche magiche, orge diaboliche e riti blasfemi. La deduzione degli inquirenti si muove sul piano della logica, cogliendo gli estremi del messaggio in codice: Corini, pur stravolto dalla malattia, aveva la mente lucida e stava intuendo che era in corso un’orchestrazione diabolica per coartare le sue volontà. Sabba per la difesa sarebbe solo sinonimo di confusione. Il giorno dopo si materializza il testamento falso: redatto a Marzia, firmato dall’avvocato. Quello considerato doppiamente falso: per la genesi e per le rivisitazioni. Lunedì prossimo prosegue il controesame di Chinca.

Corrado Ricci