Battifollo, inghiottito dai vizi di droga e gioco. Così l’operaio è diventato un assassino

"Tutto è iniziato con una crisi sentimentale. Ma non volevo ucciderlo"

I carabinieri sul luogo del ritrovamento del cadavere (foto Pasquali)

I carabinieri sul luogo del ritrovamento del cadavere (foto Pasquali)

Sarzana, 19 aprile 2017 - «Ci sono stati giorni, negli ultimi tempi, in cui sono arrivato a perdere 500 euro giocando alle slot... Non sapevo più come risalire la spirale del debito di 5 mila euro accumulato per acquistare la droga; speravo, giocando, di raggranellare denaro... invece...». Così Sem Mengs, in parallelo alla confessione dell’omicidio di De Jesus Wellington Dominguez, ucciso con una sprangata alla tempia in via Calesana al Romito, ha ricostruito agli inquirenti il gorgo nel quale era precipitato fino ad annaspare nella disperazione: da una parte il bisogno di cocaina, dall’altra l’attrazione per le macchinette e forse anche per altri giochi mangia-soldi. Un percorso senza ritorno al quale ha attribuito un inizio: «Il mio stato di prostrazione è iniziato con una crisi sentimentale, un anno fa. Poi è stato un precipitare... Sniffavo per tirarmi su, giocavo per sperando di potermi pagare la droga. Sono andato fuori di testa. Aveva paura, ero stato minacciato...».

Così l’operaio di 44 anni è diventato un omicida. E’ in carcere per omicidio volontario aggravato a scopo di rapina. Oggi alle 11, assistito dall’avvocato difensore Romina Moggia, sarà interrogato dal gip Mario De Bellis che ha firmato l’ordinanza di custodia cautelare su richiesta del pm Luca Monteverde all’esito dell’indagine lampo sviluppata dai carabinieri. Gli inquirenti sono convinti: Mengs non solo ha agito per liberarsi dalle pressioni del dominicano ma per impossessarsi del suo denaro. «Non c’era niente nel portafogli; l’ho preso per far sparire i suoi documenti, al pari del cellulare...» avrebbe spiegato prima i carabinieri e poi al pm, ricostruendo alla moviola il film della tragedia.

Questi i momenti cardine: l’incontro con Wellington davanti all’ospedale Sant’Andrea, il viaggio in auto a Romito creando nel dominicano l’aspettativa del pagamento. «Volevo prendere tempo... avrei voluto dirgli che anche questa volta non sarei riuscito a pagare. Ma poi è successo quello che è successo; non volevo ucciderlo, non pensavo di averlo fatto...». Un colpo secco alla tempia sinistra, con un tondino di ferro: il copo del dominicano che crolla, senza aver potuto far nulla per difendersi, attinto da tergo, mentre era fuori dell’auto, appoggiato alla portiera, in attesa dei soldi.

Poi la corsa di Mengs sulla riva del Magra, a Battifollo, per liberarsi del corpo ingombrante; il lancio in mare (alla Venere) dei vestiti macchiati di sangue e del portafogli della vittima sistemati in un sacchetto zavorrato, la pulizia dell’auto in autolavaggio, l’occultamento del tappettino dell’auto e delle scarpe sporche di sangue in un cassonetto dei rifiuti. «Alle 7 di mattina ho deciso di tornare al fiume sperando che Wellington fosse ancora vivo. Ero preso dal rimorso. Ma ormai era morto e nel tentativo di far perdere le sue tracce l’ho trascinato l’ho trascinato nel fiume». Alle 10 l’avvistamento ad opera di due pescatori, l’avvio delle indagini. Il rilievo delle impronte digitali, col riscontro delle stesse già agli atti degli inquirenti per piccoli reati, ha portato all’identificazione della vittima e di conseguenza alla ricostruzione, attraverso i tabulati telefonici, degli ultimi contatti avuti, con la fidanzata e con Sem. Nel cuore della notte di Pasqua il blitz dei carabinieri nella casa di Romito in via Calesana e, alla vista delle divise, la confessione dell’omicida. «Ma non volevo ucciderlo», dice. Corrado Ricci