Ammiragli condannati per le vittime dell’amianto

La Corte d’Appello di Venezia riforma la precedente sentenza assolutoria. Fra le parti lese nel processo anche i familiari di un aiutante spezzino

Migration

Sono da molto tempo in pensione, hanno servito la Marina Militare ai massimi livelli inanellando responsabilità, soddisfazioni e riconoscimenti. Ora, la mazzata giudiziaria della Corte d’Appello di Venezia: condannati per non essersi adoperati come avrebbero dovuto - a capo dei servizi sanitari, della squadra navale e dello stato maggiore della Forza Armata, tra gli anni Ottanta e la fine degli anni Novanta - per fronteggiare i rischi da esposizione all’amianto, esposizione che, alla distanza, anche decenni dopo le bonifiche, ha mietuto circa 1600 di vittime, tra militari e dipendenti civili della Difesa, molti dei quali in servizio alla Spezia

Loro sono quattro ammiragli: Agostino Di Donna (direttore generale di Marispesan dal 1983 al 1992 e poi direttore di Difesan, dal 1988 al 1990), Angelo Mariani (per due anni, dal 1992 al 1994, comandante di Cincnav e poi fino al 1998 numero uno della Marina), Sergio Natalicchio (dal 1995 al 1998 direttore di Marispesan e poi fino al 2000 di Difesan), Guido Venturoni (per un anno, a cavallo fra il 1991 e il 1992, comandante di Cincnav e poi, fino al 1993, capo di stato maggiore). Pene calibrate (e sospese) per loro – per il reato di omicidio colposo dal quale erano stati assolti in primo grado dal Tribunale di Padova – rispettivamente a due anni; un anno e 6 mesi; un anno e un anno e sei mesi di reclusione. In appello, sulla base degli affondi del sostituto procuratore generale Paola Cameran è emerso il rapporto di nesso causale tra omissioni e decessi. Ciò riguarda solo cinque vittime, fra cui l’aiutante spezzino Enzo Renzoni, spirato nel 2007 dopo sei mesi di calvario, i cui familiari sono stati rappresentati nel processo dall’avvocato Katia Acquaro. Intanto sul piano di principio il verdetto fa scuola per altri procedimenti aperti (uno avocato dalla stessa Cameran), dopo l’iniziale prevalenza delle tesi difensive che avevano portato alle assoluzioni in primo grado, su richiesta stessa dei pm di Padova Sergio Dini e Chiara Bitozzi. Non solo. La sentenza della corte veneziana, presieduta Patrizia Montuori, chiama in causa, sul piano della responsabilità civile, il ministero della Difesa chiamato a concorrere con gli imputati al pagamento di "provvisionali" sull’ordine di 50mila euro immediatamente esecutive a favore degli eredi delle vittime costituitisi parti civili; in capo ai condannati anche le spese processuali sostenute da queste ultime e dalle associazioni che, come la spezzina Afea (Associazione familiari esposti amianto) si erano costituite in giudizio nell’ambito della battaglia a tutela dei familiari dei militari deceduti e dei militari ammalatisi a causa delle fibre killer.

La Corte d’Appello ha disposto in parallelo numerose assoluzioni (verso altri imputati e anche in capo degli ammiragli condannati) ma con la formula "per non aver commesso il fatto" diversa rispetto a quella di primo grado "perché il fatto non sussiste" che si era risolta in un colpo di spugna totale. Della serie il "fatto" è stato riscontrato ma non l’attribuzione della responsabilità personale. Anche così coronamento dell’impegno del magistrato inquirente ancorato al lavoro investigativo svolto da una sola persona: il dottor Omero Negrisolo, tecnico della prevenzione ambientale e della sicurezza dei luoghi di lavoro.

Corrado Ricci