CHIARA TENCA
Cronaca

Alle origini non si comanda. Baricchi a tutto tondo : "Meno guerre tra partitucci più concretezza per la città"

L’artista si racconta a La Nazione: dai nodi insoluti del territorio alle differenze con Vicenza "Nel 1984 piazza Brin era il Bronx. Oggi mancano luoghi d’aggregazione, l’ospedale è abbandonato".

Alle origini non si comanda. Baricchi a tutto tondo : "Meno guerre tra partitucci più concretezza per la città"

Alle origini non si comanda. Baricchi a tutto tondo : "Meno guerre tra partitucci più concretezza per la città"

Nemo propheta in patria? Non sempre. Anche se a volte si emigra, ma si torna comunque a cadenza regolare a casa, dove sono rimasti famiglia, amici e un golfo da cui è difficile staccarsi e la propria galleria d’arte (la Cardelli e Fontana). Mirko Baricchi, reduce da un’esperienza a Londra, dov’è stato recentemente protagonista con la mostra "Imago" a South Kensington, non ha mai reciso il cordone ombelicale con la sua città d’origine. "Sì, si fa fatica a tagliarlo. Sono andato a Vicenza quando la mia compagna è rimasta incinta, l’ho raggiunta là: una scelta fatta per amore, 11 anni fa. Avevo la pretesa di tenerlo allacciato, anche per non abbandonare questa comfort zone, ma alla fine l’importante è star bene, lavorare, organizzarsi. Ormai mi sono abituato, ho dato la prelazione alla mia famiglia, a mio figlio. Ho cercato di mantenere lo studio a Rebocco inizialmente, tornavo sempre: una cosa folle, probabilmente non accettavo fino in fondo il passaggio. Ora vengo qui una al massimo due volte al mese, anche per star vicino a mio padre".

Beh, lei è piuttosto in controtendenza: statistiche alla mano, è la donna che solitamente in Italia fa delle rinunce sul lavoro in nome della famiglia.

"C’è da dire che il golfo non offre le stesse occasioni del Veneto dal punto di vista professionale, quindi non vedo la cosa così surreale, anzi: la mia compagna stava lavorando in un’azienda seria quando è andata in maternità, non vedo perché discutere su questo. Anche oggi sto dietro a mio figlio, come artista ho più libertà e lo vado sempre a prendere a scuola, ad esempio. Non abusiamo della baby sitter, anche se questo a volte interrompe la concentrazione sul mio lavoro".

Anche voi padri vi scontrate con una certa cultura, però.

"Assolutamente sì. Un libero professionista, poi, non ha diritti in Italia e questo è veramente ridicolo anche pensando che a poche ore di aereo c’è la Scandinavia, di fronte alla quale sembra di esser nel Medioevo".

Però ci lamentiamo sempre, e poi?

"Se penso all’italiano, mi viene in mente una frase di Pessoa: “fate quello che volete, l’importante è che non mi togliate il mio tostapane“. Siamo legati alla materialità, ci facciamo andar bene troppe cose; abbiamo una sorta di nemico, che è lo Stato: dovrebbe, invece, essere un alleato che in qualche modo faccia squadra con noi. Non parliamo, poi del sistema fiscale assurdo, che ti prende tanto e spesso ti fa fare le capriole, cosa che succede anche nei servizi: basti guardare il bonus badanti".

Quindi, siamo senza speranza?

"Quando si parla di diritti, si deve capire che ognuno ha una sua responsabilità ed esistono i doveri. Invece, siamo alla demeritocrazia (sic): alla fine, basta che non mi rompano, me la sono sfangata anche oggi. E va bene a tutti. In Francia hanno bloccato un paese: sanno bene quali sono i diritti e le responsabilità".

Speriamo bene. Invece, che mi dice della questione del patriarcato, ora discussa da tutti?

"Dico che all’interno del bacino del Mediterraneo è radicatissimo e che sono circondato da uomini imbevuti di questo. Basta leggere certi commenti imbarazzanti sui social".

Dietro le mie spalle (lo incontro in un bar di Fossitermi, ndr) c’è una foto gigante di Spezia: a cosa pensa mentre la guarda?

"Che mi piace, è bella. Me la ricordo negli anni Ottanta, da ragazzino ed è cambiata tantissimo. La vedo come una specie di cavallo addormentato sotto un cavaliere isterico, lontana da quello che è stata: un processo inevitabile di progresso e non di evoluzione, che inevitabilmente porta sia demoni che angeli".

E che città era, scusi?

"Nel 1984 piazza Brin era il Bronx. Frequentavamo i locali con mia nonna, che prendeva la spuma da Stoppa, c’erano i parenti degli ergastolani e dei piccoli mafiosi, gente che si gambizzava. E noi, piccoli, vedevamo la violenza anche contro i marinai, che venivano buttati nella fontana. In tutto questo, non ho mai scorto in quella zona la polizia o i carabinieri".

E andando più avanti nel tempo?

"Mi ricordo della Mediateca con le videocassette, dei centri sociali, del punk, dei Fall Out. Tutto spazzato via, oggi c’è il turismo".

Cosa cambierebbe e cosa le manca di Spezia?

"Beh, mi mancano le amicizie, gli affetti, per me fondamentali. Mi manca la morfologia del territorio, sono conscio della bellezza sua e del golfo: sono un grande camminatore e ogni volta mi stupisco. Dall’altra parte, vorrei più sedi di aggregazione socio-culturale, non per forza serie e ‘pesanti’, ma perché non farne altre oltre al Dialma Ruggiero? E anche, mi piacerebbe che ci fosse un altro cinema, oltre al Nuovo, premesso che a Silvano (Andreini, ndr) andrebbe fatto un monumento. Ecco, servirebbe pensare meno alle guerre fra partitucci e di più alla concretezza. E poi, dobbiamo parlare della sporcizia: a Vicenza ho visto gente protestare per una carta in terra, qui si fanno tutti gli affari loro. Eppure è sempre colpa degli altri".

Lei si è stabilito nel Veneto: quali sono le differenze maggiori rispetto alla sua terra d’adozione?

"Un diverso modus operandi, una filosofia differente: come dice Balasso, se un veneto sta in coda con la macchina e vede un sampietrino messo male, lo rimette a posto. Non esiste star fermi, dopo il lavoro ci sono l’orto, i mestieri. A Vicenza non ti chiedono come stai, ti domandano di quello, anche se poi quando si lasciano andare, sono i più gaudenti. Io non sono esterofilo, ma se le cose vanno meglio, non succede perché qualcosa cade dal cielo. Poi, è anche vero che lì vedi danni ambientali e la villa palladiana di fianco ad un capannone. Consiglio il bellissimo libro "Works" di Vitaliano Trevisan, che tutti dovrebbero leggere, per capire. Un’altra grande differenza è la sopportazione di lavorare in maniera indefessa, senza fermarsi mai".

Lei è un artista e spesso si continua a discutere di impegno della vostra categoria: chi dice sì, chi dice no. Che ne pensa?

"Credo sia inutile prendere una bandiera a cui essere fedele e vivere nella contrapposizione: serve, piuttosto, capire cosa fare concretamente per risolvere le questioni di interesse collettivo. Qui, ad esempio, per me la prima cosa è la sanità: il Sant’Andrea è un ospedale, così abbandonato? Che io sia artista o idraulico, dovrei pensare a questo. Chiedimi sono di sinistra o destra: non te lo dirò mai, ma ti dirò che sto col buonsenso, con le proposte concrete. Spesso chi fa politica non ce la fa, non perché non intelligente, ma perché alle prese con cose troppo grandi: dovrebbero esserci figure e tecnici qualificati. Ormai, invece, siamo alla curva da stadio. Io credo che se ad uno viene richiesto di intervenire, poi gli si debba dare spazio. Quindi, sì, mi piacerebbe impegnarmi in qualcosa di non legato all’arte, anche facendo manovalanza: penso, oltre alla già citata sanità, anche a laboratori di belle arti a cui le scuole potrebbero appoggiarsi, propedeutici alle Accademie. Questo è ciò che intendo se mi chiedete il significato di questa parola".