5 Terre, belle senz’anima ma con tanti soldi Il turismo tra affari d’oro e ferite all’identità

Affresco di commercianti e residenti. Come si vive nei luoghi dove l’odore di salmastro è ormai sostituito da quello delle fritture

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"Buongiorno, vorrei un gelato"

"Da quanto?". "Da due euro, ho solo questi spiccioli". "Il minimo è da 2,50 euro". "Vabbè, metta meno crema...". "No, o 2,50 o niente. Devo lavorare". "Grazie, il gelato può attendere". Dialoghi alle Cinque Terre, belle senz’anima. O meglio, dall’anima qua e là corrotta dal denaro. I registratori di cassa tintinnano e l’identità della terra stretta tra montagna e mare vacilla. Il viavai è continuo, fin dalle prime ore del mattino, nel carruggio di Vernazza. Ma non è che i commercianti gongolino.

Angelo Danese in passato faceva il macellaio. Ora nel frigo ci sono solo piccoli scampoli di carne. "Mi piaceva il mestiere al servizio delle famiglie del paese. Ma ormai i residenti sono pochi e c’è un’infinità di turisti che svolta il pranzo con un panino e una bottiglia d’acqua. Mi sono adeguato. A volte mi viene da piangere...". Alle sue spalle l’immagine della bottega invasa dal fango dell’alluvione del 2011. "La consolazione è quella che deriva dalla considerazione di qualche turista per il nostro l’impegno a rimetterci in piedi".

Valentina Nieddu dispensa sorrisi ai turisti attratti dal profumo di pane che esce dal forno: "Che fatica stamattina..." dice ad un amico. Poi spiega al cronista: "Non è tanto una questione di energia ma di rapporti umani con i turisti pretenziosi. Quelli italiani a volte sono davvero sgarbati". Dopo due anni segnati dalla pandemia che ha contratto gli affari l’analisi di Federica Borromeo è chiara. "Ci stiamo rifacendo; dobbiamo fare di necessità virtù" dice la titolare della farmacia, una delle poche rivendite che espone a caratteri ben visibili le regole di accesso: uno alla volta, con mascherina.

Prodotto di punta? "Bende e cerotti per rimediare alle vesciche da escursioni". Anche le passeggiate con vista mozzafiato sono fonte di business, a distanza.

Massimo Evangelista, lavora alla Spezia ma il cuore batte per Vernazza. Gli chiediamo un’analisi da indigeno. "Questo turismo ha sconvolto quelli che negli anni ’60 e ’70 venivano definiti “luoghi dell’anima”". Cioè? "Qui il tempo trascorreva lento; chi soggiornava poteva apprezzate stile di vita, usi e consuetudini dei residenti. Persone semplici e vere". Cosa è rimasto? "Quasi nulla; con la notorietà si sono scatenati interessi economici smisurati, le Cinque Terre sono diventate un mezzo per ottenere consenso. Questo non è un peccato, ma il prezzo è il progressivo inarrestabile abbandono delle vere anime di questi luoghi, i suoi residenti". Ad un certo punto è lui a fare le domande. "Come si può continuare a vivere in luoghi dove all’odore del salmastro si è sostituito quello delle fritture? Dove le acque non sono più trasparenti ma “opache”? Dove al vociare dei bimbi si è sostituito il gracchiare dei gruppi? Dove prendere un treno in certe ore è una prova di forza?"

Che fare, allora? "Non si può, ovviamente, tornare al passato. Abbiamo però il dovere di ricordarlo. Anche per permettere ai turisti di calarsi in una storia antica; rievocarla fa bene a loro e a noi, per non smarrirci". Musica per le orecchie di Guido Galletti, viticoltore-pescatore, sostenitore della Strada dei vini: "Dobbiamo ripartire dell’amore per la nostra terra; se riusciamo ad esprimere al meglio la nostra anima conquisteremo turisti rispettosi, con l’anima".

Corrado Ricci