Libano, il comandante del Savoia: "Tanto lavoro da fare, ma la situazione migliora"

"Qui ci sono diciotto diverse confessioni religiose e convivono pacificamente"

La riproduzione del primo numero del quotidiano «La Nazione», uscito il 19 luglio 1859, consegnato al colonnello Margheriti

La riproduzione del primo numero del quotidiano «La Nazione», uscito il 19 luglio 1859, consegnato al colonnello Margheriti

Grosseto, 6 aprile 2018 - "Vedere i bambini che sorridono è forse la testimonianza più forte, più diretta dell’attenzione che mettiamo in ogni gesto del nostro lavoro qui in Libano. Vedere i bambini sereni significa poter credere in un futuro più sereno per tutti". Il colonnello Cristian Margheriti, comandante del Savoia Cavalleria e al vertice anche di Italbatt nella missione Unifil (e sotto il suo comando ci sono anche i paracadutisti del Reggimento Nembo), questo concetto ama ribadirlo spesso. I militari del Savoia sono tornati in Libano nello scorso ottobre e la loro missione è quasi al termine. Mesi durante i quali è proseguita quell’opera di monitoraggio sul rispetto degli accordi siglati tra Libano e Israele e durante i quali è continuata, incessante, l’attività di sostegno alla popolazione.

Colonnello, un grande impegno.

«L’impegno inizia con l’addestramento ancora prima di arrivare in un teatro operativo, ma l’impatto è comunque forte. L’impegno poi è anche quello che serve per entrare in sintonia con le persone, con le autorità politiche e anche quelle religiose».

Appunto, una grande responsabilità.

«Senza dubbio. Il contingente italiano ha sempre lavorato in maniera eccellente e grazie a questo i nostri militari sono molto ben visti dalla popolazione civile, così come i vari sindaci si fidano di noi. La situazione generale nel Paese è sta migliorando e sono certo che continuerà a migliorare anche con chi verrà dopo di noi».

Lei porta sempre due esempi. Il primo, sono i bambini.

«Se riesci a far sorridere un bambino, significa che quel bambino è sereno. E quando riesci a portare sernenità vuol dire che è iniziata la costruzione del futuro».

Il secondo è la convivenza tra le varie confessioni religiose.

«Qui ce ne sono diciotto e tra di loro non ci sono né attriti né problemi. E’ una convivenza nello stesso territorio che avviene in maniera del tutto naturale, così come sono normali gli incontri tra le relative autorità religiose. Io credo che questo modello di integrazione dovrebbe essere preso come esempio ed esportato».

Quale futuro è possibile prevedere?

«Il processo di pace appare ancora lungo e la presenza di Unifil ci sarà fino a quando sarà ritenuta necessaria e utile. Però, ripeto, passi avanti ne sono stati fatti e possiamo vederlo anche osservando cosa accade nei centri abitati. A Tyro, ad esempio, c’è una nuova vitalità anche commerciale, con nuovi bar e nuovi negozi. Molti gestiti da giovani. Ma di testimonianze ce ne sono anche altre e forse ancora più significative».

Ad esempio?

«Ad esempio ciò che sta accadendo lungo la Blu Line, il confine con Israele, senza dubbio il lembo di territorio più delicato e monitorato. Ecco, anche qui ci sono segnali di ottimismo, perché in molti hanno iniziato a costruire nuove abitazioni o a ricostruire quelle danneggiate. E se non hai fiducia nel futuro, certe scelte non le fai».

Lei sta guidando un contingente di circa 500 uomini. Problemi?

«Di routine, nessuno in particolare. Merito anche di bravi collaboratori. A me poi piace avere un contatto diretto con i miei uomini ai quali cito spesso un pensiero di Sant’Agostino: un comandante deve comandare non per orgoglio di primeggiare, ma per amor di provvedere. E io mi attengo a questo principio».