Grosseto, 25 ottobre 2010 - TUTTI DICONO MAREMMA MAREMMA edito da  Mario Papalini.

Venti autori di tutta Italia hanno colto un particolare di questa terra per costruire una trama che incuriosisca il lettore. Filo conduttore il mondo agricolo. Scrittori, giornalisti, traduttori e critici dalla Sicilia alla Lombardia, che hanno all’attivo romanzi, poesie e sceneggiature con i più grandi nomi dell’editoria e del cinema nazionale. Autori dei racconti sono Roberto Barbolini, Laura Bosio, Luigi Caricato (che ha curato l’edizione), Andrea Carraro, Guido Conti, Maurizio Cucchi, Carlo D’Amicis, Andrea Di Consoli, Omar di Monopoli, Francesca Duranti, Antonio Franchini, l’orbetellana Nadia Fusini, Bianca Garavelli, Silvana Grasso, Daniela Marcheschi, Giuseppe Pontiggia, Lidia Ravera, Ugo Riccarelli, Clara Sereni e Alessandro Tamburini. La prefazione è affidata all’assessore provinciale allo Sviluppo rurale, Enzo Rossi, che sottolinea come la raccolta rappresenti «una originale azione di comunicazione nel chiaro intento di valorizzare il sistema qualità Maremma complessivamente inteso... un’operazione culturale e di marketing sicuramente riuscita». Ad aprire la narrazione è il racconto «Il Morellino» di Giuseppe Pontiggia, romanziere e saggista scomparso a Milano nel 2003. Un’incursione nelle vecchie osterie che fa scoprire all’autore il vino che da quel giorno non potrà più scordare, il Morellino di Scansano. E se Guido Conti immagina il professor Lombroso alle prese con la sua teoria fisiognomica in presenza del brigante Tiburzi; con D’Amicis scopriamo le sfumature del silenzio nelle campagne e quanto nella miseria possa essere prezioso un osso di prosciutto. La laguna di Orbetello domina «Il casale» di Ravera, mentre il bosco e il passato minerario irrompono in «Montieri» di Bosio, dove il presente ha il sapore del vino Monteregio. E le vie cave cariche di mistero fanno da scenario all’intreccio di Carraro. Il mito di Buffalo Bill e la sfida con i butteri rivive nel racconto di Barbolini. Luigi Caricato, invece, richiama alla memoria il sogno di Davide Lazzaretti, il profeta dell’Amiata.

PITIGLIANO PARTICOLARE di Marco >Bisogni.

Una guida agli angoli sconosciuti del seducente paese arroccato su uno sperone di tufo, pubblicata nella collana Strade Bianche di Stampa Alternativa, diretta da Marcello Baraghini. Costo 6 euro. Sessantaquattro pagine a colori corredate da fotografie scattate da Marco Bisogni che ha scritto anche i testi che accompagnano lungo un percorso ad anello di due chilometri. Per la consulenza sul territorio è stato interpellato Giovanni Feo. Una volta alla settimana continueremo a proporre un libro da leggere che sia scritto da autori maremmani o che tratti temi di questa provincia. Tutte le recensioni saranno inserite sul nostro portale www.lanazione.it/grosseto. Il percorso segue la via Selciata, strada bianca che cinge il borgo quasi per intero. Il lettore-visitatore può immergersi fra grotte e tombe che raccontano di un passato lontano millenni. Dopo la partenza da piazza Petruccioli, l’itinerario si sofferma sui lavatoi rupestri, l’antica porta per Sovana, la Chiesa di San Rocco, la Sinagoga, la Cattedrale dei santi Pietro e Paolo, piazza della Repubblica, Fortezza Orsini e Bastione San Francesco. Consacrata al patrono di Pitigliano è la chiesa di San Rocco, la più antica nel rione più antico, menzionata in documenti ecclesiastici risalenti alla seconda metà del Duecento. «Alcuni studiosi, però, sostengono che sia sorta su un tempio etrusco - spiega Marco Bisogni - secondo la consuetudine di edificare, perlomeno fino al tardo Medioevo, luoghi sacri su siti di culto precedenti». In tutto il paese le nicchie e i tabernacoli cristiani, la maggior parte dei quali dedicati alla Madonna, testimoniano la devozione della popolazione. È un inseguirsi di stradine, scale e scorci che incantano. Come non soffermarsi sulla targa Fotografia Denci: a Adolfo Denci dobbiamo il racconto di riti, abitudini e interessi immortalati per sempre. Nel quartiere ebraico, oltre alla Sinagoga, si trova anche il forno delle Azzime. Di grande fascino la Fortezza, caratterizzata dal loggiato cinquecentesco del Sangallo e dai merli guelfi. È un immergersi nella storia, ma anche in curiose leggende, in particolari che enza le foto di Marco Bisogni sarebbero sfuggiti allo sguardo.

ARABESCHI DI LUCE di Maria Grazia Maramotti.

Il libro, che ha l’introduzione di Maria Luisa Spaziani e la prefazione di Walter Mauro, è stato pubblicato in >tre lingue con testo a fronte da Campanotto editore. Il volume, che è stato presentato alla rassegna «Castiglione d’autore», è stato adottato da varie università americane. I versi della Maramotti in italiano, spagnolo e inglese disegnano una poesia di emozioni, sentimenti e pensieri che affiorano dalle profondità dell’animo. La traduzione in spagnolo è stata affidata a Martha Canfield, mentre quella in inglese a Gabrielle Barfoot. Lettrice, studiosa, amica e in certo senso «seguace» di Mario Luzi, Maria Grazia in queste liriche si spinge oltre il tempo e lo spazio. Con curiosità e quasi ansia di conoscenza, la poetessa cerca l’origine di ogni cosa, persino dell’universo. Gli «Arabeschi di luce», che fanno seguito ad «Alchimie d’amore», possono considerarsi come un iter conoscitivo che trova «nei perché il pallido profilo della luce» e «nelle risposte lo zampillare dei chiarori». Il suo interrogarsi filosofico sulla Creazione, intriso di citazioni, trascina il lettore in immagini di «scintille purissime», danze di fuoco, argilla che prende le forme impresse da «sante mani». Tra le pagine, inattesi messaggi d’amore scritti a penna. Un omaggio al ricordo di Tullio. «Più di ogni parola, più di ogni espressione, più di ogni turbamento dissero a me sconvolto quelle silenziose gocce d’argento che rigarono il tuo volto. E la mia anima». «Ogni alba, ogni risveglio fuga il dubbio che sia stato solo un sogno tanto atteso. Questo nostro amore».

BIGKOM. Memorie di un toscanaccio tra comizi, miniere, serpenti e fronti eredi Divo Mugnaini. 

La prefazione è affidata a Valentina Moro, ricercatrice in Psicobiologia e Psicologia fisiologica dell’università di Verona. L’autore, originario di Roccastrada, dopo aver lavorato anche all’estero, è tornato a vivere con la moglie a Sticciano Scalo. Dedicato in particolare alla propria famiglia, il libro di Divo Mugnaini è un’autobiografia che parte dai ricordi della scuola media lontana da casa, delle superiori e delle borse di studio. Arrivano gli anni dell’impegno politico e del lavoro alla Società Miniere Fragné-Chialamberto che lo porta fino in Zambia. Poi l’impiego alla Società Geotecneco, a San Lorenzo in Campo, nell’entroterra pesarese: l’inizio di una serie di viaggi che lo conducono in molte regioni italiane e vari Paesi del mondo. Tanti gli spunti di riflessione che emergono durante la lettura di «Bigkom», scritto con stile asciutto e descrittivo. Come osserva Valentina Moro nella prefazione, «con la stessa tenacia necessaria per affrontare la foresta africana, le altitudini boliviane, gli albergatori siriani, Divo si affaccia a una terribile malattia, che trasforma radicalmente la vita sua e dei suoi cari». Ma dopo l’improvvisa emorragia cerebrale con le sue conseguenze, il coraggio della riabilitazione e il lento recupero motorio e linguistico che sembrava davvero insperato. Dall’Egitto agli Usa, dalla Siria al Marocco, la vita vissuta come viaggio, come continua situazione di frontiera. E sullo sfondo delle vicende personali emerge la Storia, un intenso spaccato dell’Italia anni Cinquanta e Sessanta. Il lavoro, affrontato come crescita continua, e che ci conduce tra culture, paesaggi e lingue diverse.

SAN FRANCESCO A GROSSETO. IL CONVENTO E LA CHIESA. IPOTESI PER UNA COLLEZIONE DI OPERE D'ARTE a cura di Olivia Bruschettini e Tamara Gigli.

Si tratta della seconda >pubblicazione della collana «Contributi per l’arte in Maremma» della casa editrice Effigi di Mario Papalini. Arricchito da prezione immagini, il volume ha la prefazione del vescovo Franco Agostinelli. DALL’ACCETTAZIONE della tesi >tradizionale dell’esistenza in Grosseto di un monastero benedettino dedicato a San Fortunato anteriore al 1200, in cui subentrarono i Francescani, parte la ricostruzione storica inedita di Tamara Gigli. La studiosa, infatti, ha scrupolosamente ricercato un’infinità di documenti antichi non ancora noti che si trovavano sparsi nei vari Archivi storici tra Firenze, Siena e Grosseto, disegnando un percorso che finora non si conosceva sulla chiesa e il convento di San Francesco. Mentre nel secondo capitolo, Olivia Bruschettini, responsabile dell’ufficio Beni culturali ecclesiastici della Diocesi di Grosseto, traccia una nuova ipotesi su alcune importanti opere d’arte conservate nel nostro territorio. La storica dell’arte ha fatto un’importante scoperta: all’Archivio storico di Siena ha trovato un documento del 1808, redatto a mano in francese, in cui il prefetto di Grosseto scriveva al vescovo della nostra Diocesi. Ed è qui che Olivia Bruschettini ha rintracciato le opere che un tempo si trovavano nel convento francescano e che sono confluite in cattedrale, in vescovado, nel capitolo della cattedrale e in quella sezione di quadri che oggi viene erroneamente chiamata Collezione Cappelli, conservata al Museo d’arte sacra. Infine nel terzo e ultimo capitolo,Tamara Gigli si sofferma sulla figura del canonico Cappelli e sul suo ruolo nella salvaguardia del>patrimonio artistico di questa città.

LA CITTINAdi Luciana Bellini, pubblicato da Stampa Alternativa.

La scrittrice, originaria di Scansano, è stata scoperta alcuni anni fa dall’eclettico Marcello Baraghini, l’inventore dei rivoluzionari libri Millelire. Così i quaderni della Bellini sono diventati romanzi di successo. Nella collana «Strade Bianche» figura adesso «La cittina», grafica e impaginazione sono a cura di Ettore Bianciardi. NEL RACCONTO «La cittina», la scrittrice contadina Luciana Bellini torna nella sua infanzia, quando il vicolo del paese sembrava il centro del mondo. «Il vicolo con le sue case di tetti appiccicati puntati di giallo e di rosso, le pietre scalpellate, le scale che scendono e salgono, i muri grigi, i gatti grigi, il cielo grigio ma più spesso celeste». La narratrice in prima persona e in maremmano ricorda quando se ne stava beata a sedere sugli scalini con una fetta di pane in mano. Ma la spensieratezza viene turbata da una parola sconosciuta pronunciata quasi di nascosto dagli adulti. «La mi’ zia voleva cancellà quella parola, ma ormai era stata detta, e io la vidi: rimbalzò ne la stanza, mi ronzò nell’orecchi, in testa, ne lo stomaco e si fermò lì da qualche parte... Io, quella parola, non l’avevo mai sentita prima: cancro non sapevo che era. Non lo sapevo, però ero sicura che quello era il Male che di casa stava a casa mia. Finì tutto e tutto cominciò». Attraverso gli occhi di bambina, di figlia, vediamo il padre lentamente strappato alla vita. «Possibile che una cittina avesse dentro una disperazione tanto grande: grande come quella dei grandi?». E al dolore per la perdita del genitore si unisce la tristezza per un’altra perdita, quella del proprio paese, dell’amato vicolo. Un altro pezzo di vita, vissuto a casa della Signora che la ospita e le insegna le faccende domestiche. Un periodo di rabbia e ribellione, lontano dalla magia delle lucciole, dal gracidare delle ranocchie nel fosso, dallo zoppogalletto sulla campana disegnata per terra con il gesso. «So’ passate l’ore, i giorni e l’anni e, ora che quella ragazzina è diventata grande, io spalanco quell’uscio chiuso. Guardo e vedo lei e te, babbo. Siamo sempre noi: lì, tra il cielo e la terra del Camparello».

ALL'OMBRA DI CARAVAGGIOdi Susanna Cantore, edito da effequ.

 La scrittrice ha già pubblicato per effequ due guide d’autore storico-naturalistiche e due racconti >storici («Annata 1859» nella raccolta La musica del vino, e «I lumi della ragione» nella raccolta La voce dei matti); e per Sansoni saggi sulla storia del teatro. Ogni settimana continueremo a proporre ai nostri lettori recensioni su libri ambientati in questa terra o che sono scritti da autori locali. SCANDITO da alcune rime della poetessa Vittoria Colonna, il racconto «All’ombra di Caravaggio» ricostruisce e immagina gli ultimi giorni di vita di Caravaggio. In fuga dal bando capitale che pendeva su di lui per un assassinio, o sulla strada di Roma per ricevere la remissione di tale condanna, l’artista muore a Porto Ercole nell’estate del 1610. La scrittrice Susanna Cantore affida la narrazione a una suora del Convento di Santa Maria Ausiliatrice. Dal suo sguardo affacciato alla finestra vediamo lo sbarco della feluca su cui viaggia anche Michelangelo Merisi, scopriamo che è scosso da brividi, in preda al delirio per la febbre alta. «Quando arrivò il nuovo malato pensai che lo portassero per curare quella ferita che gli attraversava metà faccia, ma capii presto che il taglio quasi rimarginato non poteva essere la causa dei sussulti che lo scuotevano a tratti, con intervalli irregolari, come invece avevo visto nelle febbre maltesi di certi marinai che erano venuti altre volte allo spedale». Il pittore, che aveva frequentato cortigiane e ne aveva fatto modelle per i suoi dipinti, lascia la vita accanto a questa donna sensibile e forte al tempo stesso, un’artista come lui, confinata in un convento dalle convenzioni dell’epoca. Una «ladra» di esperienze che non potrà fare a meno di tenere per sé l’ultimo capolavoro del maestro, neppure di fronte alle pressioni del tribunale dell’Inquisizione. Completano il volume una nota dell’autrice in cui si spiega come è nata l’ispirazione per il racconto, una cronologia essenziale con le opere principali di Caravaggio, e il contributo finale della docente di Storia dell’arte Ersilia Agnolucci. Autore delle immagini in copertina è Andrea Angione che entra nelle tele del Seicento con volti contemporanei

LA BALLATA DELLA MAMA NERA di Roberta Lepri.

Il quarto romanzo della scrittrice grossetana è stato pubblicato da Avagliano Editore. Oggi alle 21 alla libreria «Popolare» alcune amiche della scrittrice leggeranno le pagine che le hanno maggiormente colpite. Brani che poi verranno commentati insieme all’autrice. Interverranno Claudia Lepri, Anna Guidoni, Luciana Dalla Pozza e Carla Boccini. IL RITROVAMENTO del cadavere di un bambino seppellito vicino al campo nomadi di una cittadina di provincia scatena uno scontro con gli abitanti. «Zingari ladri e assassini» è l’opinione comune. Della stessa idea è anche Gino Cellini, il poliziotto protagonista della storia. Ma nel corso della narrazione, lentamente scopriamo che niente è come appare. La città scelta dall’autrice per ambientare>la vicenda è una Grosseto in parte reale e in parte immaginata, con tutte le sue contraddizioni di posto a misura d’uomo ma dove alle 8 di sera scatta il coprifuoco. La verità spazzerà via i pregiudizi, ma per arrivarci altri personaggi rischieranno la propria vita. Come Ughino, il figlio del poliziotto. Bambino sempre in ansia per il timore di deludere il padre, per dimostrargli di non essere un buono a nulla, ma anzi di essere coraggioso come lui vorrebbe. Ughino, che osserva in silenzio le lacrime e la depressione della madre, il suo rapporto litigioso col marito. Una vita familiare così imperfetta rispetto a quella che si respira nella lussuosa villa della sua amichetta Sara. Su tutto domina la Mama Nera, la «regina» dei rom. Scaltra come un gatto, saggia come ogni grande capo, non rinuncia a ballare neanche in punto di morte. Sotto la sua protezione anche il nipote Manuel che con le sue improvvise «apparizioni» terrorizza Ughino. Ma spesso niente è come sembra.

DEDICATO A... RICORDI E RACCONTI  a cura di Maristella Manini e Antonietta Olivieri del Moica.

Il volume della sezione provinciale del Movimento italiano casalinghe è stato pubblicato dalla editrice Innocenti di Grosseto. Una volta alla settimana continueremo a proporre un libro da leggere che sia scritto da autori maremmani o che tratti temi del nostro territorio. UNA RACCOLTA di racconti di incontri con persone che hanno in qualche modo lasciato un segno nella vita delle autrici. «Tanti pezzetti di storia che non faranno quella con la S maiuscola - commenta Maristella Manini - ma sono parte importante della storia di ciascuno >di noi». «Quest’anno - aggiunge Antonietta Olivieri nella prefazione - ci è piaciuto, come Moica, far partecipare anche amiche di altri Gruppi in un’antologia che ci faccia sentire ancora più unite attraverso ricordi di persone e città diverse. Con tutte ritroviamo sentimenti simili di amore, tenerezza, riconoscenza, commozione». È l’amore per i figli, per le nonne, per le madri dai comportamenti eroici. Sono le lezioni di maestre che hanno saputo insegnare il rispetto dei sentimenti e della famiglia. Tra i ricordi si insinuano anche gli animali domestici con il loro affetto e le loro piccole astuzie. Sono esperienze di amicizia, storie dei cambiamenti che può portare la fede nel >proprio cammino a scorrere lungo le pagine del libro del Moica. E c’è chi preferisce ricordare in dialetto, come Mimma Andreini: «Prima, zitte e a capo basso si deveva camina’, se si parlava si faceva chiasso e lui ’n poteva riposa’. Si deveva ne campi lavorà e poi fa’ dammangià... Se pe’ tanto tempo boncitte semo state e gli avemo dato retta senza rifiata’, era perché si lavorava sotto come le patate pe’ rivà havè la parità. Ora che ci semo quasi rivate loro ’n so mica tanto contenti, perché hanno paura che gli si passi avanti... ’n vi ’npaurite».

L'ORO DI ROSELLE - DOMANI DI IERI, IERI DI DOMANI  di Flavio Cultrera, edito dalla Innocenti.

L’autore, ex sottoufficiale dell’Esercito, è originario di Gorizia ma da anni vive in Maremma. Ha già scritto libri, tra cui novelle per bambini. «L’ORO DI ROSELLE» alterna due dimensioni narrative in uno stesso spazio, la Roselle contemporanea e quella del periodo etrusco nell’imminenza della conquista romana. A mettere in movimento l’intreccio è il ritrovamento di una cavità nel terreno, in mezzo alla macchia mediterranea, che nasconde una tomba etrusca. Partono immediatamente le ricerche degli archeologi, tra l’entusiasmo della scoperta e la necessità della segretezza per la paura che la tomba possa venire depredata. Subito emergono anfore e gioielli, persino una corona e un sarcofago in alabastro. I reperti vengono portati e custoditi al Museo di Grosseto. Dietro gli archeologi ci inoltriamo nella boscaglia, tra i rovi, e idealmente armati>di torce seguiamo i loro movimenti, con la suspense di un film di Indiana Jones. La sepoltura è molto grande, composta da varie stanze. A colpire l’attenzione degli studiosi è un affresco che rappresenta uno strano sistema solare. Alla base una processione rende ancora più oscuro il suo significato. Solo dopo approfondite ricerche e un’intuizione del professor Antonietti la raffigurazione svelerà tutto il suo valore simbolico. L’affresco in realtà è la mappa che indica il luogo dove è stato nascosto un grande tesoro. Forse ciò che gli Etruschi tentarono di mettere in salvo prima dell’arrivo dei Romani. Ma mentre gli archeologi portano avanti con scrupolo le proprie ricerche, nell’avventura si inseriscono due bande di malfattori pronte a tutto pur di impossessarsi di quel tesoro rimasto nascosto per millenni. IL RACCONTO si tinge di giallo, con inaspettati colpi di scena. Il secondo racconto, «Domani di ieri, ieri di domani», invece, parla di un uomo che muore ma solo fisicamente. La sua mente, infatti, rimane intatta e il corpo trasformatosi in pura energia riprende le stesse sembianze di quando l’uomo era vivo. Il protagonista trova nello stesso stato una vecchia fidanzata. Entrambi decidono di trasmigrare in un corpo vivente e scelgono un bambino che crescendo troverà l’amore.