Ragazze morte in Erasmus, il padre di Elena Maestrini manifesta davanti all’ambasciata

Sit-in davanti all'ambasciata di Spagna a Roma con un cartello. Poche parole in spagnolo ma significative: «Due anni. Dov'è la verità? Chiediamo giustizia. Vergogna».

Il padre di Elena Maestrini

Il padre di Elena Maestrini

Roma, 20 marzo 2018 - Ha sfidato un tempo da lupi per urlare ancora una volta il suo desiderio di giustizia. Ieri mattina Gabriele Maestrini era a Roma, davanti all’ambasciata di Spagna, per la sua Elena e per le altre dodici studentesse Erasmus che, esattamente due anni fa, morirono nel tragico schianto di Tarragona. Era il 20 marzo 2016 quando un pullman di un’associazione parauniversitaria, tra l’altro accreditata dall’Ateneo di Barcellona, sbandò al ritorno dalla Festa di primavera delle Fallas a Valencia. «Per una gita di oltre ventiquattr’ore – dice Gabriele Maestrini –, era stato previsto un solo autista che, se riuscì a chiudere un occhio, lo fece sul sedile di guida…».

«Due anni: dov’è la verità? Chiediamo giustizia – dice l’uomo –. Vergogna. Ho parlato con due funzionarie dell’ambasciata, ho spiegato loro per filo e per segno i motivi per cui, alla mia età, mi sono ritrovato a protestare, da solo, sotto la pioggia».

Non ha voluto dir nulla neanche a sua moglie. «Per non aggiungerle strazio a strazio…», dice Maestrini. Che continua: «La battaglia mia e di tutte le altre famiglie, colpite da una sciagura che si poteva evitare, non terminerà fino a quando non verrà fatta giustizia. Vogliamo che emergano tutte le leggerezze commesse. Deve essere scoperchiato questo vaso di Pandora che ruota attorno all’Erasmus e alle gite dei nostri ragazzi, le cui vite non possono essere in mano a persone che non usano quel minimo di buon senso che avrebbe ogni buon padre di famiglia». La Spagna, ricorda il papà di Elena, che frequentava Economia all’Università di Firenze insieme alle amiche Valentina Gallo e Lucrezia Borghi, anche loro morte in quel maledetto pullman, ha provato per ben due volte ad archiviare l’inchiesta. «Ma noi vogliamo arrivare al processo – si scalda Maestrini –. Certe tragedie non devono più avvenire. Mia figlia e le sue compagne si erano fidate di quell’associazione». Da due anni, il papà di Elena si macera intorno a quei «diciotto terribili secondi» durante i quali il pullman ha sbandato. «Scusate, mi sono addormentato», ammise subito dopo l’autista, che dopo dieci mesi cambiò però versione. Anche la strada, ricorda Maestrini, «era tutto, meno che sicura». Insomma, un insieme di colpe che devono venir fuori. Al più presto.

Elettra Gullè