"Mio figlio disabile e ora la beffa" Dovrà pagare 270mila euro

Elena Improta dopo 26 anni di battaglie legali ha visto annullare la sentenza della Cassazione. Ha anche un’associazione Onlus a Orbetello: "Ho scritto a Mattarella. Non deve finire così"

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Dopo venti ore di travaglio, Mario venne alla luce. Ma quel bambino aveva dei problemi. "Urlava e piangeva in continuazione. Era rigido. Poi ebbe la prima crisi epilettica". Elena Improta è la mamma di Mario. Oggi trentaduenne. Disabile grave. Ha deciso di raccontare quello che gli sta accadendo dopo oltre 26 anni di battaglie giudiziarie. La disabilità grave da cui è affetto il figlio – sostiene – fu causata da una sofferenza al momento del parto. La causa di risarcimento è iniziata nel 1996 ed è terminata qualche giorno fa con una sentenza della Corte di Appello di Roma che non riconosce al figlio e alla donna i danni derivanti da una negligenza di medici e paramedici durante il parto, anzi li condanna a pagare 276mila euro.

Che successe quel giorno al Bambin Gesù?

"Non riuscivo a partorire. Mi ricordo benissimo che i medici non vollero intervenire con il cesareo. Mi saltarono addosso per spingere il bambino che si era fermato nell’utero. Una manovra che non portò i risultati sperati. Mario, in parole povere, ebbe una sofferenza cerebrale e dunque una lesione permanente. Volli parlare con il ginecologo, anche perchè il bambino era strano. Mi disse: Gli faccia i massaggini, va tutto bene".

Invece tutto bene non andava.

"Infatti. A Mario fu diagnosticato un ritardo grave. Mi dissero che non sarebbe mai riuscito a camminare e parlare. Una vita da disabile motorio, cognitivo e comportamentale. Ma non volevo arrendermi e ho iniziato a parlare con tanti specialisti. Quando arrivò la diagnosi rimasi molto male: il soffocamento provocato nell’utero era stato decisivo per il mancato arrivo di ossigeno al cervello".

Iniziò dunque una lunga serie di battaglie giudiziarie per farsi riconoscere il danno.

"Certamente. Tutte battaglie che sono state vanificate dall’ultima sentenza della Corte di Appello di Roma. In pratica si afferma l’insussistenza del nesso causale. E viene respinta la domanda di risarcimento. Ma soprattutto condanna me e mio figlio al pagamento delle spese del giudizio. Un importo di quasi 300mila euro. Che mi sembra un’assurdità".

Ha deciso di scrivere una lettera al presidente della Repubblica Mattarella.

"Quello che mi è successo è veramente avvilente. Sono passati ventisei anni e adesso si scopre che quello che aveva deciso la Corte Suprema è carta straccia. Siamo stati sottoposti ad ogni genere di visita, interrogatorio. Nelle carte processuali abbiamo scoperto che nelle cartelle cliniche agli atti processuali manca il tracciato fetale di mio figlio nei momenti critici. Per almeno due ore. Come se fosse stato tagliato. E’ necessario che Mattarella sappia quello che accade nei tribunali. Si parla di malasanità e i casi come il mio ce ne sono tanti".

Nel 2017 la Cassazione riconobbe che doveva ritenersi provata l’esistenza di un nesso causale. E adesso?

"Non posso credere che questa sia la giustizia. Ho scritto quella lettera perchè mio figlio ha diritto ad un riconoscimento per quello che ha subìto. E invece adesso cosa succederà? Dovremo affrontare un pignoramento perchè quella cifra non l’abbiamo. Credo che quello che è accaduto a noi sia umiliante e avvilente".

Lei ha speso la sua esistenza per suo figlio. E a Orbetello ha anche iniziato un progetto coi ragazzi disabili con l’associazione "Oltre lo Sguardo onlus".

"Mi sono trasferita in Maremma da molti anni, lavoro con l’Asl Sud Est e cerco di aiutare le famiglie che sono nella mia stessa situazione con un progetto per il Dopo di noi. Abbiamo in piedi un progetto di cohousing che funziona: famiglie ospitano orfani disabili e persone segnalate dai servizi sociali. Rimango traumatizzata da quello che è successo, ma vado avanti e ci rivolgeremo un’altra volta alla Cassazione come dice la legge perchè il danno è riferibile alla negligenza dei medici. Ma i giudici hanno ribaltato l’interpretazione in maniera tortuosa e assurda. Quello che è stato fatto è illegittimo. Ma continuerò a farlo per Mario: La sua voglia di vivere ha voluto che la mia vita avesse un senso".