"Lo scarico dei rifiuti era in mare"

Flavio Agresti, ex sindaco di Scarlino, racconta la battaglia negli anni ’70. "Situazione sempre da risolvere"

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Fu uno dei primi a sollevare una questione che negli anni ‘70 fu al centro del dibattito politico maremmano. Una questione, quella degli scarti di lavorazione del Casone di Scarlino, in quegli anni targato Montedison, che Flavio Agresti, ex sindaco del paese, prese di petto insieme alla sua giunta. Troppo grave quello che stava succedendo dal punto di vista ambientale. "Mi ricordo tutto benissimo - inizia Flavio Agresti – e quando tutto si originò dopo che venimmo a conoscenza di quello che l’azienda, che dava lavoro a tante persone nel territorio, stava facendo. Lo stabilimento della Montedison a quel tempo scaricava in mare, come consentiva la normativa, circa tremila tonnellate al giorno di rifiuto della produzione chimica. Non si trattava ancora di gesso rosso, ma di un acido che veniva rilasciato dopo la produzione del biossido di titanio".

In pratica l’azienda allestì una spola con due navi che caricavano dal porto canale di Scarlino, poco lontano dall’impianto, lo scarto chimico e lo gettavano in mare tra il Golfo di Follonica e la Corsica. Una circostanza che 50 anni fa era considerata "normale".

Non per Flavio Agrestiche iniziò una battaglia senza esclusione di colpi andando a sfidare una multinazionale. "Il mare di fronte alla Corsica era diventato una discarica – prosegue Agresti –. Mi ricordo che la questione fece arrabbiare molto i corsi quando furono messi a conoscenza di quello che stava accadendo".

Dopo mesi di battaglie e denunce, Montedison cedette. Almeno all’inizio. "Costringemmo l’azienda a progettare un impianto per riutilizzare lo scarto della lavorazione. Purtroppo ci fu la crisi petrolifera e tutto si bloccò". Ma non la battaglia di Flavio Agresti.

"Raggiungemmo un accordo: mischiare gli acidi del biossido di titanio con la marmettola. Una miscela che anche oggi costituisce il gesso rosso. All’inizio fu deciso di stoccare la grossa quantità di rifiuto a piè di fabbrica. Poi nella cava di Montioni come ripristino ambientale. Fu effettivamente un grande successo anche perché, per la prima volta, grazie anche all’interessamento delle politiche europee, fu vietato alla Montedison che aveva trenta stabilimenti in giro per il mondo, di gettare quel rifiuto nel mare".

Una soluzione, quella di Montioni, che però divenne definitiva anche perchè Montedison prima e la Tioxide dopo, non ha mai costruito quell’impianto che aveva promesso. "I vari interventi che furono fatti portarono solo a quel risultato – aggiunge Flavio Agresti –. Fummo i primi a sollevare il problema che purtroppo adesso torna alla ribalta per un altro tipo di presunto inquinamento". L’ex sindaco si permette anche di dare un consiglio. "Bisogna che adesso il problema venga risolto alla radice e una volta per tutte – chiude Flavio Agresti –. Purtroppo l’impegno insufficiente delle aziende che si sono succedute sulla richiesta di impianti è sotto gli occhi di tutti. Su quello stabilimento mi sembra che ci sia adesso una spada di Damocle. Quello che possiamo dire è che noi nel 1971 proporremmo all’azienda di chiudere il ciclo produttivo se non avessero risolto quei problemi. E a tutt’oggi il problema è sempre in piedi".

Sulla questione ha scritto anche un libro: "Presto questa storia verrà portata alla luce – chiude Agresti –. Speriamo che adesso la magistratura faccia il suo corso nel più breve tempo possibile".

M.Alf.