"Intestino asportato per una Tac in ritardo"

Dolori atroci per una 58enne grossetana. Il figlio: "Ai primi accessi all’ospedale non hanno capito di cosa si trattava, chiederemo i danni"

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Sei giorni di dolori atroci e di un’assistenza sanitaria che alla fine si è risolta con un’operazione chirurgica d’urgenza per l’asportazione di una parte di intestino e con mille domande alle quali probabilmente sarà un giudice a dare risposte. E’ la storia di una grossetana di 58 anni che dal 16 al 21 giugno scorsi ha vissuto le pene dell’inferno, con un adarivieni dal pronto soccorso del Misericordia senza risolvere praticamente nulla fino a quando, all’ennesima richiesta di aiuto, è stata visitata dalla figura professionale più indicata per le sue condizioni di salute: un medico di guardia del reparto di Malattie infettive. Ma partiamo dall’inizio. Si sta parlando una donna abbastanza conosciuta in città alla quale in passato era stata diagnosticata la ‘vasculite’, patologia che le causò anche un ictus. A fine febbraio avrebbe dovuto fare una visita di controllo al Misericordia con lo specialista. Ma arriva il coronaviurs e molte attività all’ospedale di Grosseto si bloccano, dunque niente visita. Passano giorni e settimane e la 58enne grossetana si sente sempre peggio. Prova a confrontarsi con il medico di famiglia, ma non riesce a risolvere. Contatta allora al telefono lo specialista, ma anche qui solo medicine prescritte a distanza. La situazione non migliora, tutt’altro. Prova a ricontattare l’ambulatorio del Misericordia, ma niente da fare. Le dicono che "forse" riaprono a ottobre, ma siamo ad aprile. Dopo peripezie varie, a maggio riesce almeno fare le analisi del sangue e quando le arrivano a casa i referti intuisce che le sue condizioni di salute sono peggiorate. Continua a parlarne col medico di famiglia, ma stante la situazione emergenziale da coronavirus poco si può fare. E’ così che si arriva ai fatidici 5 giorni. Nel pomeriggio del 16 giugno la 58enne si sente male: forti dolori addominali, vomito e spossatezza. Chiama un’amica che la porta al Pronto soccorso. Viene sottoposta a esami di routine inclusi ecografia e raggi X, e secondo il racconto dei familiari questi esami non rileverebbero nulla, se non una ‘banale’ gastroenterite. Viene dunque dimessa in tarda serata, ma continua a star male. Il giorno dopo è caratterizzato da dolori atroci e telefonate all’amica e al medico di famiglia che le consiglia l’assunzione di un altro farmaco. Niente da fare. Stesso copione il 18 e il 19 giugno: i nuovi farmaci non sembrano fare effetto. Il 20 giugno, allora, nuovo accesso al pronto soccorso, stavolta in ambulanza chiamata dall’amica che ha una esperienza lavorativa in sanità. Dopo l’accesso al Ps la 58enne messaggia all’amica scrivendole che le avrebbero trovato una infiammazione all’intestino. "A quel punto – racconta il figlio della paziente – mia madre chiede ai medici di poter effettuare una Tac addome completo, ma si sente rispondere dai sanitari che non è necessario. La ricoverano all’osservazione breve del pronto soccorso. Lì, la mattina dopo, domenica 21 giugno, finalmente riceve la visita del medico di guardia delle Malattie infettive che si accorge della gravità della situazione e dispone una Tac addome completo con contrasto, esame che evidenzia un’ischemia di un tratto intestinale. Cioè: all’interno dell’addome un tratto di venti centimetri di ileo era necrotico e nero (ovvero ‘morto’ ) e andava asportato, cosa poi avvenuta. Ci domandiamo perché questa Tac non è stata effettuata 5 giorni prima. Avremmo potuto salvare l’intestino di mia mamma e le avremmo risparmiato molte sofferenze. Chiederemo i danni".

 

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