Grosseto, 21 febbraio 2014 - Il maestro Alberto Manzi ha segnato un’epoca. Adesso la sua storia rivive nella fiction Rai e sorprende nel libro della figlia più giovane, Giulia. La fiction “Non è mai troppo tardi”, in onda lunedì 24 e martedì 25 alle 21.10 su Rai Uno, riprende il titolo della famosa trasmissione televisiva con cui Manzi insegnò a milioni di italiani a leggere e a scrivere. Grande comunicatore, scrittore infaticabile, autore e conduttore di tanti programmi per la radio e la televisione, ma soprattutto educatore aperto alla modernità.

Legato per amore alla Maremma, dove si trasferì da Roma nel 1986 insieme alla seconda moglie Sonia, che insegna tuttora a Grosseto, e da cui ha avuto Giulia. E a Pitigliano, in cui ha vissuto l’esperienza di sindaco, si è spento il 4 dicembre del 1997. A interpretare la sua figura assai complessa nella fiction Rai è l’attore Claudio Santamaria.

Manzi ha studiato, smontato e rimontato di continuo nella pratica i metodi dell’insegnare per far meglio ragionare gli allievi, tenendo a modello la frase di Kant: “Il maestro non può insegnare pensieri, ma deve insegnare a pensare”.

Di grande impatto per lo spettatore sarà di sicuro la prima esperienza educativa di Manzi, dopo la guerra, nel carcere minorile “Aristide Gabelli” di Roma: poco più che ventenne con 90 ragazzi da gestire dai 9 ai 17 anni che non volevano proprio saperne di scuola. Eppure conquistò la stima di tutti e poté cominciare a insegnare, la sua missione per tutta la vita in Italia come nel cuore del Sud America. Per attirare l’attenzione dei ragazzi del carcere raccontò di un gruppo di castori che lottano per salvare la propria libertà: da qui nacque il suo primo romanzo, “Grogh, storia di un castoro”.

Con i giovani carcerati, a cui all’inizio dovette portare le matite di nascosto infilate nei calzoni, Manzi riuscì a organizzare una recita e a fare “La tradotta”, il primo giornale realizzato in un carcere minorile. L’altra esperienza formativa di grande valore avvenne in Sud America, dove nel 1955 si recò su incarico dell’università di Ginevra per svolgere ricerche scientifiche.

Da quella volta ogni anno fino al ’77 tornò nella zona orientale della Foresta Amazzonica per portare avanti attività di scolarizzazione dei nativi. Con questo bagaglio e il successo internazionale dei suoi libri, basti pensare a “Orzowei”, dal 1960 al ’68 per la Rai e per il ministero della Pubblica istruzione condusse la trasmissione “Non è mai troppo tardi”, corso per adulti analfabeti che successivamente venne imitato in 72 Paesi. Indicato dall’Unesco come uno dei migliori programmi televisivi per la lotta contro l’analfabetismo, nel 1965 ricevette il premio dell’Onu.

Aspetti meno noto e più intimi figurano nel libro “Il tempo non basta mai. Alberto Manzi, una vita tante vite”, pubblicato questa settimana da add editore. Un diario a tre voci che unisce l’io narrante della venticinquenne Giulia Manzi a quello della madre Sonia che racconta la vita di Alberto, di cui la figlia ha scelto alcuni brani tratti dai suoi scritti.

“Non sono mai stata molto favorevole a ‘distribuire’ pezzi di mio padre al di fuori dell’ambito familiare – spiega Giulia, nata in Maremma ma che adesso studia a Roma – perché ogni volta è come se una parte di papà se ne andasse. Ma un giorno mia madre mi disse che aveva registrato per me un’intervista: capiva che un giorno avrei voluto sapere. Mi ha parlato del loro primo incontro sulle scale della scuola, la differenza d’età tra loro, la famiglia, la televisione, il Sud America, la mia nascita, i giochi, i libri, il dolore. Ho scoperto così che, per la prima volta, ero io a sentire il bisogno di donare qualcosa di mio padre a tutti coloro che volessero scoprirlo”.

Irene Blundo