Grosseto, 25 settembre 2013 - COME Davide contro Golia. Vittoria, in questo caso giudiziaria, per una famiglia grossetana che ha fatto causa a un noto istituto di credito ottenendo, in esecuzione della sentenza di primo grado, la restituzione di interessi e oneri non pattuiti e ultralegali, nonché delle spese e commissioni non dovute. Nuovo round nella vicenda ieri mattina, quando l’ufficiale giudiziario si è presentato in una filiale della banca, a Grosseto, per eseguire il pignoramento della somma dovuta.

 

E per una volta è stato l’istituto di credito a soccombere, staccando un assegno di 48mila euro che è stato depositato nella cancelleria civile del tribunale, in attesa della ripartizione dell’importo tra spese processuali e risarcimento danni. Una vittoria che apre una breccia nel sistema bancario, anche se non è detta l’ultima parola. L’istituto di credito, infatti, ha presentato ricorso in appello. Un traguardo raggiunto grazie all’associazione Sos Utenti che, assieme all’avvocato Silvana Panzera del foro di Roma, ha affiancato i coniugi grossetani in tutte le fasi legali. «Questo risultato fa seguito ad altri ottenuti in tutta Italia — dice il presidente onorario di Sos Utenti Gennaro Baccile (nella foto) — finalmente crolla il tabù dell’“invincibilità” delle banche».

 


Ma veniamo ai fatti. Tutto inizia nel 2000, ai tempi della lira. I coniugi grossetani, insegnante lei e funzionario di un ente lui, chiedono e ottengono da una filiale della banca un prestito di 16 milioni di vecchie lire (pari a 8.263,31 euro) per eseguire dei lavori in una loro proprietà a Pitigliano. E concordano che il finanziamento avvenga tramite cambiali agrarie. Tutto fila liscio fino a quando subentra un nuovo direttore nella filiale di Manciano (in cui è aperto il conto corrente), che rimette in discussione gli accordi presi, pretendendo condizioni più onerose per i clienti. Inizia così un lungo braccio di ferro con l’istituto di credito. «Per un debito di 13 milioni e 400mila vecchie lire — denuncia la famiglia grossetana — sono arrivati a pignorare la tenuta di Pitigliano, del valore di quasi due miliardi, tanto è vero che la base d’asta per la sola casa partiva da 850 milioni».

 

Ma c’è di più. La banca ha anche «incamerato» dodicesima e tredicesima mensilità della pensione del correntista (per un totale di 2849 euro) «unico mezzo di sostentamento dello stesso e della sua famiglia», come si legge nelle motivazioni della sentenza di primo grado, pronunciata dal tribunale di Grosseto, sezione distaccata di Orbetello, il 12 giugno scorso, notificata il 24 luglio e resa esecutiva.

 

E così si arriva a quanto avvenuto ieri con il pignoramento di 48mila euro, in conseguenza della sentenza che condanna la banca a versare la somma complessiva di 72.920,40 euro, di cui 20.933 per addebiti trimestrali non dovuti, 14.865 per interessi convenzionali azzerati, diecimila per risarcimento danni e oltre 26mila per le spese di giudizio comprensive di oneri fiscali e tributari. Ma non è tutto. Nell’ambito del processo si inserisce un’altra causa. I coniugi hanno presentato (e vinto) il ricorso contro la banca per violazione della privacy, avendo pubblicato nell’annuncio per la vendita all’asta dei beni pignorati i loro nomi, date, luoghi di nascita e codice fiscale. Per la famiglia che ha osato sfidare Golia, quella di ieri è stata «la fine di un incubo».
Agata Finocchiaro